26 Apr 2022

Re-enactment e ri-presentificazioni. Per un chiarimento del concetto, tra prassi e teoria

Fulcro del progetto Swans Never Die, il concetto di re-enactment non appare tuttavia di facile accesso. Per provare a chiarirne i contorni, un collage di “definizioni” tratte da esperienze dirette di pratica coreografica e da riflessioni teoriche a firma di rinomati studiosi.

Fondamentale nei più recenti sviluppi dei Performance and Visual Studies, il termine re-enactment – baricentro concettuale del progetto Swans Never Die – merita un doveroso chiarimento. È per prima la coreografa Silvia Gribaudi, reduce dalla residenza Peso Piuma – Collective con il BTT, a provare a spiegare questa complessa nozione, letteralmente vissuta sul proprio corpo di artista:

Lavorare all’interno del progetto Swans Never Die ha sollecitato in me, innanzitutto, una riflessione su come tradurre in azione presente una memoria. Mi ha inoltre indotta a concentrarmi sulla relazione tra coreografa, performer e spettatore attivo, in particolare in direzione dell’incontro e di come quest’ultimo ri-generi la danza. Mi affascina la dimensione del processo creativo, tale da condurre l’opera al punto in cui non appartiene né alla coreografa né al performer, né tanto meno a chi la riceve. Al tempo stesso, però, essa appartiene a tutte e tutti. I ruoli si intrecciano, mescolando reciproche intuizioni, reciproci sguardi. Le parti si fondono, potenziandosi a vicenda. Di chi è allora l’opera? Nella Morte del cigno si trattava di un dialogo aperto tra Fokine, il coreografo, e Anna Pavlova, che aveva instillato nel solo, in quanto interprete, la sua espressione unica. Con Balletto Teatro di Torino ci siamo tuffati in questo processo, in quello spazio di relazione in cui le dinamiche non conducono a ruoli predeterminati, bensì dischiudono un reale incontro, che determina rotture e ricomposizioni di codici. Un dialogo empatico finalizzato alla costruzione di patti relazionali tra chi compie l’azione e chi la riceve, ri-trasformandola, per poi restituirla in un ciclo infinito di azioni e reazioni. Peso Piuma – Collective è stata dunque la ricerca di un’osmosi che portasse a una vibrazione vitale, che permettesse una continua trasformazione, offrendo così l’opportunità – a chiunque la praticasse – di esistere nel tempo. Inafferrabile e indefinibile, ma completamente vivo!


Nel «Dancing Museums Glossary», le studiose Susanne Franco e Gaia Clotilde Chernetich, alla voce dedicata al re-enactment, annotano:

Even though reenactment defines a very distinct phenomenon that we usually refer to as re-performance, re-make or re-creation, in dance, it certainly offers a different approach to past dances in comparison to the established practice of historical reconstruction. As suggested by Mark Franko in his introduction to The Oxford Handbook of Dance and Reenactment (2018), whereas reconstruction always reveals dance as already historical, reenactment treats the past dance as something that exists in the present. Therefore, it troubles our sense of what we perceive as distant in time, forgotten or lost. In other words, reenactments shift the focus from remaining true to a past source to its appropriation in the present, and in contrast to historical reconstructions, they reject the idea of accurate renderings of a past work from an anti-positivist theoretical perspective. In Performing Remains: Art and War in Times of Theatrical Reenactment (2011), Rebecca Schneider suggests we re-think the ontological status of performance as what remains rather than what vanishes without leaving any trace. Some reenactments for contemporary audiences stage dance works that never lost their place in cultural memory, while others make available for the first time dance pieces that oblivion, marginalisation or censorship have limited in their journey through time and space. These different kinds of reenactment share the rethinking of methods for approaching the past, and the dramaturgical and conceptual framework that removes claims of authenticity. Dance reenactments also reject the linearity of the traditional narratives of dance history, its chronologies and genealogies, which have been taken for granted. For these reasons, they are precious tools for reflecting upon the structures of knowledge that emerge within old and new historical accounts, and for re-thinking how the blurring of reality and historical fiction can be productive.

Volendo azzardare, il campo semantico di pertinenza del re-enactment (all’occorrenza coniugabile nelle sue forme to re-enactre-enacting) non risulterebbe troppo dissimile da quello descritto delle “ripresentificazioni”, su cui si è ampiamente espressa la critica woolfiana: con tale espressione si allude al processo attraverso il quale il soggetto recupera dal proprio passato, riportandole nel presente, esperienze ormai defunte e le esplora tramite l’ausilio dei sensi. Si tratta dunque di una memoria che torna nuovamente presente, non tanto in forme di ripensamento o rievocazione (à la madelaine di Proust), quanto piuttosto nella capacità di avvertire l’istante trascorso – a livello percettivo e corporeo – ancora attuale. Una declinazione – si potrebbe asserire – di tipo sensoriale della cosiddetta “memoria involontaria” di Henri Bergson. Nel tentativo di rintracciare un adeguato traducente italiano per il sostantivo, Alessandro Pontremoli – nella nota al testo di André Lepecki, Il corpo come archivio – scriveva:

Il termine è difficilmente traducibile a motivo della sua pregnanza semantica e di esso non dà adeguatamente ragione il termine italiano rievocazione (verbo: rievocare), perché troppo compromesso con fenomeni performativi molto distanti da quello in oggetto, come ad esempio le rievocazioni storiche di molte città italiane. Si [sceglie] comunque la strada di una possibile traduzione, necessaria per una concettualizzazione, anche nella nostra lingua, di alcune fenomenologie coreiche e dei corrispondenti strumenti critici e teorici, seguendo le indicazioni etimologiche e le precisazioni antropologiche proposte da Edward C. Warburton nel saggio Of Meanings and Movements. Re-Languaging Embodiment in Dance Phenomenology and Cognition, «Dance Research Journal», 43, 2011, 2, pp. 65-83: «Enaction is a word derived from the verb to enact: “to start doing”, “to perform” or “to act”» (p. 69). L’espressione italiana che ci [sembra] tener conto del maggior numero di fattori di significato è ri-messa-in-azione (forma verbale: ri-mettere-in-azione). Anche se poco elegante dal punto di vista formale, essa presenta una certa efficacia nel rendere quanto l’autore del saggio intendeva teorizzare e descrivere.

Matteo Tamborrino


Bibliografia essenziale e parziale (in ordine cronologico)

  • Susanne Franco, Marina Nordera, Introduzione, e Annalisa Sacchi, Il privilegio di essere ricordata. Su alcune strategie di coreutica memoriale, entrambi in Eadd. (a cura di), Ricordanze. Memorie in movimento e coreografie della storia, UTET Università, Torino 2010;
  • Rebecca Schneider, Performing Remains: Art and War in Times of Theatrical Reenactment, Routledge, London-New York 2011;
  • Marcella Lista, Play Dead: Dance, Museums, and the “Time-Based Arts”, «Dance Research Journal», XLVI, 3 (2014), pp. 6–23;
  • André Lepecki, Il corpo come archivio. Volontà di ri-mettere-in-azione e vita postuma delle danze, trad. it. Alessandro Pontremoli, V, 1 (2016), pp. 30-52: <https://journals.openedition.org/mimesis/1109>;
  • Claire Bishop, Black Box, White Cube, Gray Zone: Dance Exhibitions and Audience Attention, «TDR: The Drama Review», LXII, 2 (2018), pp. 22–42;
  • Marko Franko (ed.), The Oxford Handbook of Dance and Reenactment, Oxford University Press, New York 2018;
  • Alessandro Pontremoli, Coreografare Bach. Le Variazioni Goldberg di Steve Paxton e Virgilio Sieni tra percezione e memoria, in Simona Brunetti, Armando Petrini, Elena Randi (a cura di), «Vi metto fra le mani il testo affinché ne possiate diventare voi gli autori». Scritti per Franco Perrelli, Edizioni di pagina, Bari 2022, pp. 354-355.
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