Il progetto collettivo Le Sacre du Printemps

Il progetto collettivo Le Sacre du Printemps

Le Sacre du Printemps è un progetto collettivo di rilettura dell’opera che mescola, all’interno di una griglia condivisa, diversi stili e linguaggi della danza chiamati a raccolta tramite una open call che abbiamo diffuso sul territorio torinese nell’autunno del 2019.

Un pretesto narrativo per un’azione corale, di festa, che “con il suo sostrato fondante di saperi mitici e rituali, di topoi senza tempo (e tra questi il sacrificio, la perdita, il diverso, la sopravvivenza, la ciclicità delle stagioni) continua a interrogare, attraverso nuove riproposizioni contemporanee, artisti e pubblico, a qualunque latitudine1”.

A guidare le scuole all’interno di questo processo e a supervisionare le coreografie messe a punto dagli insegnanti (Aziza, Roberta Chiocchi Roberta/Fabrizio Varriale, Anna Dogliotti, Debora Giordi, Claire Jahier, Cristian Magurano, Patrizia Matrella, Elisa Pagliana, Alessandra Pomata, Elena Rolando, Monica Secco, Rosa Trolese, Cristiana Valsesia), gli artisti Elena Rolla di EgriBiancoDanza, Viola Scaglione di Balletto Teatro di Torino e Stefano Mazzotta di Zerogrammi, che sono riusciti ad armonizzare tecniche e stili di provenienza assai eterogenei all’interno di un unico orizzonte condiviso.

Il risultato è stato un percorso in cui, per l’intera durata della partitura stravinskiana, si sono avvicendate le azioni corali degli oltre centocinquanta partecipanti, dislocate nell’ampio spazio circolare del Giardino delle Rose della Reggia di Venaria, suggestivo e unico palcoscenico en plein air capace di accogliere questa moltitudine danzante. È infatti la cornice della residenza sabauda che ha accolto il progetto, in una grande festa della danza, e che lo ha saputo accogliere anche in una fase intermedia, nell’estate sospesa del 2020. In seguito alla riapertura dei teatri e degli spazi museali dopo il primo lockdown, la Reggia di Venaria è stata infatti il luogo ideale per uno spin-off imprevisto del progetto che ha permesso la realizzazione di un’opera video, nata dagli spunti del collettivo torinese dei Ratavoloira, insieme agli sguardi complici degli artisti e alla grande disponibilità delle allieve e degli allievi delle scuole, che si sono lasciati attraversare dai tempi e dai modi insoliti del linguaggio video. La proiezione del cortometraggio è stata poi condivisa pubblicamente il 26 settembre 2020 alla Lavanderia a Vapore nell’ambito di Ridiamo fiducia ai corpi, una particolare declinazione di Open Lav, giornata dedicata alla riapertura, e riadattata a momento di riflessione a partire dai corpi, di nuovo insieme seppur distanziati, per affermare l’importanza di ritrovarsi, di ascoltarsi, di recuperare le proprie emozioni.

Le Sacre du printemps ha potuto poi abitare di nuovo la Reggia e i suoi Giardini lungo i weekend di maggio 2021 fino alla sua conclusione alla presenza emozionata di centinaia di persone che hanno partecipato, finalmente, ad un grande rito collettivo rappresentato dai centocinquanta corpi, felici di poter finalmente danzare insieme, sulle note di una partitura potente come quella di Stravinsky, di cui quest’anno, tra l’altro, ricorre il cinquantesimo anniversario della morte. Con queste immagini si chiude un percorso, tra storia e memoria della danza, che ha voluto invitare artisti e pubblico a scoprire diverse possibilità di mettersi sulle tracce di un classico, rivisitandolo. Ma questo viaggio non finisce qui: a breve, insieme a diversi partner nazionali, partirà il progetto intitolato Swans never die che invita il pubblico a pensare a La morte del cigno, un solo divenuto una pietra miliare della storia della danza del XX secolo, come un’opportunità per conoscere le molte forme della sua esistenza nel tempo da quando fu coreografato da Michel Fokine per Anna Pavlova nel 1905 e a scoprire le diverse possibilità di mettersi sulle tracce di un classico grazie alle sue riletture contemporanee. Seguendo le tappe di questo viaggio tra storia e memoria della danza lo spettatore avrà modo di scoprire in che corpi sopravvive un’opera coreografica del passato, chi ne raccoglie l’eredità e perché, che valori può trasmettere oggi e in futuro. 

Grazie al fertile dialogo con studiosi quali Susanne Franco e Alessandro Pontremoli, si inseriscono nel triennio 2018/2020 della Lavanderia a Vapore i progetti Re:Rosas!, Maratona Bausch e Le Sacre du Printemps che danno vita a Danzare la memoria, ripensare la storia, la trama e l’ordito dei discorsi con cui si ricostruisce di continuo il passato della danza per comprenderne il presente e immaginarne il futuro. Un filone per dare voce e corpo alla memoria, in un momento storico in cui non è più soltanto lo studioso alle prese con documenti d’archivio a restituire un senso al passato: sempre più artisti, infatti, si mostrano sensibili a voler conoscere da vicino la storia della danza. All’interno di questa discorsività si colloca anche Le Sacre du Printemps, l’ultimo progetto del triennio, inaugurato nel novembre 2019, che si è concluso lo scorso 2 giugno dopo l’interruzione nel 2020 a causa della pandemia. Lungo questo periodo il progetto si è intrecciato anche con le “Residenza trampolino”, azioni di scouting per sostenere il potenziale creativo dei contesti di riferimento delle residenze artistiche. In questo alveo si colloca il fertile dialogo che, da qualche anno, portiamo avanti con alcune scuole di danza del territorio, in particolare Arte in Movimento a.s.d., Artédanza a.s.d., APID, Artemovimento Centro di Ricerca Coreografica, Asd + Sport 8, Centro Ricerca Danza a.s.d., Centro Aziza a.s.d., Danzarea, Emozione Danza, Fondazione Egri per la Danza, Ginger Company a.s.d., Nuovo steps a.s.d., Scuola del Balletto Teatro di Torino e il gruppo Dance Well-Movement Research for Parkinson di Torino. 

1 Lorenzo Conti, Le Sacre du Printemps, l’eterno ritorno nell’anno che verrà, Hystrio n. 3, 2021, pag. 14

Carlotta Pedrazzoli, Lavanderia a Vapore

Dietro le quinte di una collective experience

Dietro le quinte di una collective experience

Il percorso con gli/le student* della prima Liss Primo Levi di Torino si è articolato attraverso dibattiti, pratiche di ascolto, di movimento e coreografiche, pensate e sviluppate intorno ai temi centrali del progetto NOBODY NOBODY NOBODY. It’s ok not to be ok.

Quando ci è stato comunicato che la classe che avrebbe partecipato al progetto era una prima, per noi è stato un momento carico di dubbi e interrogativi da sciogliere: si trattava di ragazz* molto giovani e, soprattutto, di un gruppo che gruppo non aveva ancora avuto la possibilità di diventarlo. Avremmo lavorato e riflettuto su dinamiche collettive e su come queste venissero incorporate e tradotte fisicamente dai singoli con persone che, tranne in rare occasioni, non avevano neppure condiviso il medesimo spazio fisico.  La classe, nucleo centrale del nostro lavoro, esisteva solo parzialmente, sia per età che per condizioni esterne. Allo stesso tempo, però, questo ci avrebbe permesso un ingresso ‘gentile’ all’interno di relazioni che erano significative solo in potenza, di interazioni che, forse, non si inscrivevano ancora all’interno di gerarchie rigide e sedimentate, spesso complesse da smascherare e decostruire. A partire dall’esperienza autobiografica di Daniele Ninarello condivisa con la classe durante il primo incontro, uno degli obiettivi prefissati era di costituire un campo di relazioni basate sul sentire empatico, sull’immedesimazione, sulla possibilità di relativizzare alla propria dimensione intima i temi attraversati, rispettando lo spazio e il tempo di ciascun*. La stessa esperienza è stata poi raccontata qualche incontro più avanti, a molt* altr* student* durante un incontro online, con l’obiettivo di allargare lo sguardo  e sensibilizzare quante più persone possibili verso questa proposta. Il primo giorno abbiamo creato uno spazio comune utilizzando un muro della sala coreutica dell’istituto, ricoprendolo interamente di carta. Questo muro rappresentava lo spazio pubblico, quello aperto e condiviso da tutt*, in cui ognun* de* partecipanti poteva portare una parola, un contributo personale, o ritrovarsi in altri contributi messi a disposizione dal gruppo. Parallelamente, ognun* di loro era spesso invitat* a prendere nota privatamente di ciò che l* colpiva o interessava. In questo modo si è cercato di sottolineare le differenze tra ‘spazio intimo’ e ‘spazio privato’, questioni che spesso ritornavano nella gestione delle pratiche fisiche, così come nella partecipazione ai dibattiti. Questa differenziazione è servita anche ad esplorare i concetti di isolamento, abbandono e vulnerabilità da una parte, e di alleanza reciprocità e cura dall’altra.

Dal punto di vista delle riflessioni e dei dibattiti, abbiamo optato per un approccio non verticistico, mai frontale o esplicitamente didattico. Partendo da alcune domande, più spesso da alcune provocazioni, è stato chiesto ai/alle partecipanti di esprimersi su alcuni temi, sottolineando la necessità di mettere a nudo i propri pensieri, in uno spazio protetto, senza optare per reazioni e opinioni reputate socialmente accettabili. Nel corso del tempo, abbiamo potuto notare l’emersione di riflessioni via via più profonde, più elaborate. Così come abbiamo notato la spinta a riconoscersi come gruppo, a sostenersi, e a mettersi in discussione a vicenda.

Con loro non sono state condivise le ‘tappe’ del percorso di riflessione che avevamo in mente, per due ordini di motivi: da un lato, si trattava di un percorso ‘elastico’, influenzato dalle questioni che emergevano in corso d’opera e, dall’altro, volevamo preservare una sorta di spontaneità che ha fin da subito caratterizzato il lavoro con il gruppo. In altre parole era per noi importante che ciascun* dei/delle partecipanti riuscisse non solo a sentirsi a proprio agio ma percepisse potenzialità e responsabilità nel/del percorso. Diversi i temi trattati: violenza maschile sulle donne, body e slut-shaming, omo/lesbo/bi/transfobia, abilismo, linguaggi e ironia come strumenti di offesa e prevaricazione, violenza online. Il tentativo, che ha attraversato ogni singolo incontro, è stato quello di portare il gruppo a tradurre sul, nel, con il corpo il percorso di scambio avvenuto durante i dibattiti, lasciando spazio alle dimensioni conflittuali, di protesta, di dolore o di liberazione.

Il training proposto alla classe comprendeva esercizi di risveglio del corpo e di riscaldamento muscolare, pratiche di attenzione e di ascolto della presenza di sé e degli/delle altr*. Le fasi di ricerca sul movimento si sono sviluppate insieme, attraverso proposte veicolate per attivare un immaginario collettivo che l* riguardava in prima persona.

Attraverso i dibattiti e le riflessioni di gruppo sui temi sopraelencati, e con particolare attenzione alle dimensioni della rabbia e della protesta, abbiamo accompagnato gli/le student* nella  creazione di materiale fisico attraverso cui sperimentare le sensazioni e le emozioni che questi temi generavano, tanto collettivamente quanto individualmente. Questa ricerca sul materiale è servita per costituire un archivio collettivo, una serie di movimenti, azioni e gesti, organizzati successivamente in forma corale ma sperimentati anche in solitudine per continuare ad esplorare i concetti di isolamento, abbandono e vulnerabilità da una parte, e di alleanza reciprocità e cura dall’altra. Altri esercizi sono stati proposti con l’obiettivo di rafforzare i legami nel gruppo, e nel tentativo di sciogliere tensioni e pregiudizi e creare un gruppo solido e amichevole. Un dialogo incessante tra dimensioni biografiche e letture collettive, dunque, che ha preso voce attraverso i loro corpi.

Daniele Ninarello, danzatore e coreografo, e Mariella Popolla, sociologa