24 Feb 2023

Vegetale, tecnologico, umano. L’indagine a tre livelli di Flavia Zaganelli e Cecilia Stacchiotti

L’opera electrica /ecosi’stɛma/ – in residenza alla Lavanderia a Vapore fino allo scorso 22 febbraio – è un’indagine performativa sulla relazione fra tre universi: il vegetale, il tecnologico e l’umano. La fase di ricerca a Collegno di Flavia Zaganelli e Cecilia Stacchiotti (in arte Ceci Stuck) precede il debutto del lavoro, programmato per il 25 febbraio allo Spazio Kor di Asti, all’interno della stagione NODO PIANO curata da Chiara Bersani e Giulia Traversi. Lasciamo la parola alla danzatrice e alla compositrice elettronica per esplorare alcuni passaggi della creazione.


Da dove deriva la scelta di servirsi di un vasto immaginario vegetale? Quale funzione svolgono, in altri termini, le piante in questa vostra creazione?

FLAVIA: La ricerca prende avvio proprio da una grande fascinazione per il mondo vegetale; un’attrazione sostenuta da letture approfondite, senza tuttavia una vera e propria competenza scientifica in materia. Il nostro interesse precipuo riguarda la creazione di una relazione a tre, tra corpo umano, elemento vegetale e dimensione tecnologica (vale a dire, tutto l’apparato che usa Cecilia per produrre suono a partire dagli impulsi elettrici sprigionati dalle piante). Le piante, dunque, giocano un ruolo di fondamentale importanza. Il tentativo è “stare” all’interno di un meccanismo di relazioni circolari, anziché piramidali: non vi è mai, insomma, un elemento che prevalga, sebbene – a seconda dei momenti – l’uno o l’altro sembri imporsi. Uno dei meccanismi principali del lavoro è l’utilizzo di un dispositivo, o meglio di un circuito arduino di biodata sonification chiamato Midi Sprout, che grazie a dei sensori apposti sulle foglie (simili a quelli utilizzati negli elettrocardiogrammi) recepisce il passaggio di corrente. La “pianta madre” è collegata alle altre due attraverso un filo di rame, che sbuca dal terreno della prima, compie un giro attorno alla seconda e si immerge infine nelle radici dell’ultima: questo percorso amplifica la trasduzione del passaggio di corrente, potenziando quello già esistente per natura. A livello coreografico, cerco di attivare una relazione anche con il corpo. Un corpo – ça va sans dire – il più possibile aperto, rilassato, fedele a quanto percepisco e sento nel preciso istante. Un corpo, insomma, che sta in ascolto, principalmente del sé. All’inizio della ricerca entravo in questo setting rimanendo molto fuori da me stessa, proiettandomi nell’ascolto del campo elettrico esterno. Pian piano però, lavorando su questo aspetto, mi è parso di capire che abbia ben più senso ascoltarsi, per potersi poi virtuosamente aprire alla relazione, di qualunque tipo essa sia. Il dialogo si sviluppa attraverso degli stati e dei gradi di pratica: il primo è il tentativo di aprire il corpo in una situazione di rilascio quasi meditativo. Dopodiché Cecilia si posiziona dietro il mixer e parte la musica. Io, nel frattempo, inizio a esplorare lo spazio, istituendo un dialogo che ha più a che vedere con la mimesi, intesa non tanto come imitazione della forma delle piante (operazione che risulterebbe, in effetti, piuttosto banale), bensì in quanto approccio, riflesso umano autentico. Capita spesso, infatti, pur non conoscendo una persona, di prenderne – quasi istintivamente – le forme, il modo di esprimersi, di gesticolare, di muoversi. Con il tempo ho iniziato ad accettare questa dinamica, sebbene la volessi eliminare in principio perché mi sembrava eccessiva, didascalica. Invece ora la sto assorbendo. Tornando ai momenti dello spettacolo, poco per volta entra – in maniera sempre più preponderante – il suono e quindi anche l’elemento elettrico prodotto dalle piante. Io continuo, attraverso il corpo, a rimanere in ascolto di tutto ciò che avviene a livello sonoro, visivo e fisico dentro di me. E si crea così un pattern, una sorta di 8 che descrivo danzando attorno alle piante. Ed è quello il vero momento di dialogo: lì resto nella mia condizione di movimento, ora spontanea, ora volitiva, ora morbida. Una duplice condizione di ricezione ed emissione.

Nella scheda artistica sono chiarite puntualmente le piante da utilizzare, che assurgono al rango di protagoniste nei crediti dello spettacolo.

FLAVIA: Esatto. Le piante richieste sono appunto queste [le indica sulla scena]. Poi, naturalmente, ogni volta presentano forme diverse, quindi muta anche la relazione che si va instaurare tra me e loro. A destra vedete la Monstera Deliciosa, che appartiene alla famiglia dei rododendri, le prime piante a essere utilizzate in esperimenti con sensori già dagli anni Cinquanta-Sessanta (erano quelli per brevettare le macchine della verità). Questo gruppo vegetale risponde molto bene agli stimoli perché possiede un fogliame molto largo; pertanto si osserva un copioso passaggio di energia, di elettricità, non troppo compressa come invece avviene nelle piante grasse. Sono insomma degli ottimi trasduttori. Per le altre due – il Ficus Lyrata e l’Eugenia Myrtifolia – il discorso è pressoché identico: anch’esse mostrano foglie abbondanti e assai resistenti. Sono tutte e tre – peraltro – piante da interno, abituate a quegli stress necessariamente subiti per via del trasferimento da un luogo all’altro. Sono tenaci, forti. La scelta dipende anche da ragioni di ordine estetico, legate al mercato delle piante. Il Ficus, l’Eugenia e la Monstera sono infatti piuttosto comuni da trovare in uffici e negozi, essendo piante d’arredo, molto gradevoli alla vista. Mi stuzzicava quindi l’idea di utilizzarle per sottolineare l’enorme carica vitale, spesso data per scontata, di soggetti comuni, visibili ovunque.

Passando invece al corpo sonoro?

CECILIA: Nel primo segmento dell’opera-installazione, il mio ruolo è mettere in risalto, in evidenza, attraverso il suono quell’energia che si genera nello spazio. Inizialmente è un piccolissimo microfono, una capsula, a realizzare tale obiettivo: lo muovo io un po’ nell’aria, mettendolo in risonanza. Attraverso degli altoparlanti si crea così un feedback, modulato all’occorrenza dal vivo. Questo già inizia a dar vita a una sorta di tensione. La pianta reagisce frattanto al suono, che la attiva, la mette in moto. Così come mette in moto anche Flavia, la quale comincia nell’ecosistema delimitato dai vasi. In origine avevamo assegnato dei suoni predeterminati a ciascuna pianta. Abbiamo poi virato su altre soluzioni: di fatto, diamo alla pianta la possibilità di scegliere, a seconda degli impulsi che emana, tra specifiche parti di file, che non sono altro che le registrazioni dal vivo realizzate sulla scena. In poche parole, è la pianta che “suona le parti che vuole suonare”. Ci sono poi passaggi in cui Flavia rivolge alla pianta delle parole tramite il microfono e la pianta – specularmente – decide come rileggerle. Nel finale, invece, il corpus vegetale suona un synth producendo una sonorità più violenta, in un crescendo, in una climax, in un’esplosione di elettricità.

Se ho ben capito, quindi, attraverso i sensori voi leggete gli impulsi elettrici che la pianta possiede e che vengono anche provocati da stimolazioni sonore o interazioni con il tuo corpo, giusto? Si crea così un dialogo, amplificato dai tre piani simultanei della composizione.

FLAVIA: Sì, a fungere da collante è il campo elettrico. Nella pianta, di suo, già scorre un’energia vitale, così come accade all’interno di ciascun corpo umano. Chiaramente in uno spazio fisico in cui si trovino delle persone – a maggior ragione se queste si muovono – si altera la carica energetica ed elettrica dell’ambiente, insieme a quella della pianta stessa. Quest’ultima diventa così un trasduttore, un trasmettitore, di quanto percepisco. Tanto più in un teatro, dove si attivano luci e molteplici fonti di calore.

Di conseguenza, a ogni “replica” lo spettacolo è diverso.

CECILIA: Esatto. Infatti la sfida grande di questo lavoro è il restare il più possibile sincere alla relazione che si instaura nel qui e nell’ora. Le piante infatti, da parte loro, rispondono in maniera sempre autentica e quindi imprevedibile.

electrica /ecosi’stɛma/
CORPO VEGETALE Monstera Deliciosa, Ficus Lyrata e Eugenia Myrtifolia
CORPO TECNOLOGICO Sintetizzatore analogico, Biodata sonification Device, PC, Ableton Live
CORPO UMANO
FLAVIA ZAGANELLI // concept, ricerca, creazione, danza, voce
CECILIA STACCHIOTTI // ricerca e suono
FABRIZIO PIRO // disegno luci
ELENA MATTIOLI – LELE MARCOJANNI // video
electrica /ecosi’stɛma/ è stato ospitato in residenza da: Santarcangelo Festival, DAS Dispositivo Arti Sperimentali, Fienile Fluò con il sostegno di h(abita)t – Rete di Spazi per la Danza in collaborazione con Crexida, Paleotto11.NO TITLE nella versione EXPANDED ha vinto il Bando Abitante 2021 ed è stato ospitato in residenza da P.I.A. Palazzina Indiano Arte e Corniolo Art Platform, dando vita ad INVISIBILIA, progetto realizzato con il sostegno di Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni e di Fondazione CR Firenze

Intervista a cura di Matteo Tamborrino

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Appunti per una comunità che Danza

LAVANDERIA A VAPORE