L’inenarrabile ordinario dell’universo: visioni della rivoluzione di “Principia”

L’inenarrabile ordinario dell’universo: visioni della rivoluzione di “Principia”

Lo sguardo di Michele Pecorino, blogger della redazione itinerante di We Speak Dance, su Principia, l’ultimo lavoro di Alessio Maria Romano (Leone d’argento alla Biennale di Venezia 2020), in prima nazionale al Teatro Astra di Torino dal 18 al 23 aprile. Lo spettacolo ha debuttato all’interno del cartellone di Palcoscenico Danza di Fondazione TPE dopo una fase di ricerca creativa alla Lavanderia a Vapore, svoltasi tra gennaio e aprile (clicca qui).


Nel mare immenso di galassie e di stelle, siamo un infinitesimo angolo sperduto; fra gli arabeschi infiniti di forme che compongono il reale, noi non siamo che un ghirigoro fra tanti.

Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Milano, Adelphi, 2014

Le porte della sala si aprono, il pubblico lentamente inizia a defluire. Entrando, la scena cattura immediatamente l’attenzione dell’audience che, con il biglietto in una mano e l’immancabile cellulare nell’altra, si districa tra le file della gradinata alla ricerca del posto assegnatogli precedentemente in biglietteria.  

Il sipario è assente, la scena è visibile dal primo istante. Due sfere di colore platino sono sospese sulla diagonale invisibile che taglia, dall’angolo anteriore sinistro a quello posteriore destro, un ritaglio quadrangolare  di tappeto danza grigio. Impossibile non pensare al pendolo a cui il fisico francese Jean Bernard Léon Foucault si affidò nel lontano 1851 per dimostrare il moto di rotazione terrestre. Il resto del palco è invece coperto sempre da un tappeto danza, questa volta di colore nero. Ogni quinta è assente, così come la tela di fondo. Sui lati del palco è possibile vedere le uscite di sicurezza e le corde di graticcia diligentemente annodate ai rispettivi mantegni. 

Un essenza architettonica finita, quella del Teatro Astra, in cui si trasfigura l’inenarrabile dell’universo, tanto grande quanto sconosciuto. In contemporanea alla ricerca del proprio posto a sedere, in alcuni casi rocambolesca, si ode una voce (Marta Pizzigallo) che traccia pensieri. Dei riflessi, suscitati dall’ordinarietà umana. La raffinata penna è quella di Linda Dalisi, dramaturg dello spettacolo e figura resasi indispensabile durante l’intero processo creativo attivato dal coreografo e regista Alessio Maria Romano.  La voce nel suo narrare svela il luogo da cui sta provenendo: una navicella di ritorno dallo spazio sulla terra. Gli accecanti rivolti sul pubblico pian piano si spengono. Gli ultimi ritardatari prendono finalmente posto. Parte un countdown sonoro. Allo scadere del tempo, in uno stato di semioscurità, fanno la loro comparsa i due danzatori (Francesca Linnea Ugolin e Mattéo Trutat) che si dispongono ai lati opposti della scena. Ad accompagnarli il suono. La scena inizia ad illuminarsi attraverso delle luci di taglio dal colore freddo.  Un ulteriore proiettore posto sul proscenio, a destra, inizia a ruotare in senso antiorario, ora illuminando la scena ora il pubblico. 

Il suono e la luce sono quei codici che guidano lo spettatore a percepire dei corpi, della materia. In contemporanea le due sfere iniziano a ruotare tracciando delle ellissi sempre più ampie. Le leggi quantiche sembrano ritagliarsi il loro spazio sul palco. I due danzatori per tutta la prima parte non si sfiorano, eppure tra di loro si intesse una interazione gravitazionale uguale a quella che si instaura tra le due sfere. I performer reiterano una sequenza definita, arricchendola mediante l’improvvisazione. Le direzioni verso cui si muovono sono molteplici. Entrano vicendevolmente in collisione con le traiettorie dell’altro e con quelle tracciate dalle sfere. Le orbite collidono creando della nuova materia composta da particelle sconosciute. Il tempo e lo spazio si curvano lasciando apparire e scomparire la materia oscura. Tutto in scena appare per poi negarsi. La prevedibilità ordinaria cede il passo ad un’azione in cui tutto sembra accadere casualmente. 

La materia ordinaria, i corpi dei danzatori, la materia artificiale entrano in contatto con la materia cosmica. Ad attrarre i due danzatori è il centro della scena. Lì dove si incontrano le orbite dei loro corpi e delle sfere i movimenti e i gesti si accelerano. Attraverso il plasmarsi della  luce e dei differenti ritmi musicali, che danno lo spazio tempo, prende forma la gravità, l’incontro tra i due danzatori. I performer si perdono, si ritrovano. In un crescendo di sguardi, sfioramenti e passi sfuggevoli i due danzatori arrivano a toccarsi attratti l’uno dall’altro. Inizia così una penultima sezione dove entrambi sono il centro della gravità dell’altro. Dopo questa ultima sezione, escono di scena. I due corpi artificiali, i due grossi pendoli riprendono a ruotare sempre più velocemente, quando ad un certo punto inizia a fuoriuscire da questi della sabbia nera. Si stagliano così sulla scena le ellissi tracciate dal loro movimento. Gli spettatori sembrano inebriarsi  dell’interazione gravitazionale  che si instaura tra differenti corpi. In questo idilliaco vagare, sconosciuto e vasto, tra l’universo inenarrabile si vanno a perdere così quei piccolissimi punti di materia ordinaria quali siamo. Si compie la rivoluzione e tutto ricomincia.

Michele Pecorino

progetto di AMR/DALISI
regia e coreografia di Alessio Maria Romano
cast Mattéo Trutat, Francesca Linnea Ugolini
voce di Marta Pizzigallo
dramaturg Linda Dalisi
drammaturgia sonora Franco Visioli
spazio scenico Giuseppe Stellato
progetto luci Giulia Pastore
costumi Giada Masi
assistente alla creazione Riccardo Micheletti
consulente scientifico Prof. Enrico Trincherini (Scuola Normale Superiore)
produzione TPE – Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Lavanderia a Vapore, centro di residenza per la danza
nell’ambito di PALCOSCENICO DANZA
foto Andrea Macchia
si ringrazia Infini.to Planetario di Torino
Pensieri sconnessi e parcheggi per Racconigi, Olivier Dubois e il valore del corpo di un’artista

Pensieri sconnessi e parcheggi per Racconigi, Olivier Dubois e il valore del corpo di un’artista

Il 18 marzo scorso Mirco Spadaro, blogger della redazione itinerante di We Speak Dance, ha visto al S.O.M.S. di Racconigi MY BODY OF COMING FORTH BY DAY, in replica il giorno successivo al Teatro Toselli di Cuneo.


Per questo nuovo spettacolo, Olivier Dubois è solo sul palco. Azionando qualsiasi artificio o rete di sicurezza, è vittima consenziente di un gioco che ricorda a turno un’udienza in tribunale, un peep show e una vivisezione. Il coreografo e ballerino, seguendo un percorso casuale costruito dal pubblico secondo regole prestabilite, rivisita alcuni dei sessanta spettacoli a cui ha preso parte dall’inizio della sua carriera. Ispirato dall’antico Libro dei morti egiziano intraprende un viaggio attraverso un mare di frammenti di danza alla ricerca dell’artista, scrutando il corpo dell’esecutore per scoprire cosa rende un capolavoro e leggendo dalle sue viscere i segni del destino. Una stella è rinata!

creazione e interpretazione Olivier Dubois
luci e suoni François Caffenne
produzione Compagnie Olivier Dubois I COD
coproduzione Festival BreakingWalls / Le Caire – Le CENTQUATRE-PARIS

Spumante? Sigarette? Lo spettacolo non è ancora iniziato; siamo a Racconigi e stiamo per vedere Olivier Dubois, Pour sortir au jour, My body of coming forth by day. Ci siamo venuti in macchina, io e la Giorgia, e a trovar parcheggio abbiamo fatto non poca strada. No dai, non sedetevi lì, più vicino, s’il-te-plaît. Come si dice una sigaretta in francese? tu as une cigarette, s’il-te-plaît? Ecco tieni; è una sigaretta italiana. I-ta-lia-na; in Francia costano undici euro, un-di-ci. La gente scavalca le frontiere per pagare meno le sigarette, già. Dubois ci accoglie, ci sediamo attorno a lui; indossa degli occhiali per leggere.

«Buonasera, sono felice e onorato di essere tra voi, di fronte a voi, questa sera a Racconigi! Per l’occasione mi sono messo in ghingheri; vi voglio far notare il mio nuovo e bellissimo costume acquistato al Cairo; è un po’ approximatif, molto usato. È fatto per questa sera. Questa sera. Questa sera per ergere alla luce. Questa sera per ergere alla luce il mio corpo; il mio corpo come il libro dei morti, come lunga memoria. Conservo dentro di me migliaia di movimenti, gesti, emozioni, litri di sudore e sangue. Centinaia di ferite e cicatrici. Un sacco di felicità e di dolore. Cosa è rimasto di tutto questo? Dove possono condurmi le memorie del mio corpo? […] Noi, artisti, potremmo considerarci delle opere d’arte per il semplice fatto che i nostri corpi sono la sostanza delle arti performative, degli spettacoli dal vivo e, quindi, della danza. Se così fosse, quanto lo valutereste? […] Vi propongo un gioco, che potrebbe trasformarsi in un tribunale, un’indiscrezione sicuramente. Iniziamo a giocare».

Agitateur de la scène contemporaine française, Olivier Dubois a signé ces dix dernières années quelques- unes des œuvres chorégraphiques les plus radicales. Directeur du Ballet du Nord de 2014 à 2017, élu l’un des vingt-cinq meilleurs danseurs au monde en 2011 par le magazine Dance Europe, il jouit d’une expérience unique entre création, interprétation et pédagogie”. Direttore del Ballet du Nord dal 2014 al 2017, eletto tra i venticinque migliori danzatori del mondo dal magazine “Dance Europe” nel 2011; Karine Saporta; Angelin Preljocaj; Jan Fabre; Dominique Boivin; Sasha Waltz; il “Cirque du Soleil”; Bérangère Jannelle; “Balletto Nazionale di Marsiglia”; l’Opera di Vienna, la Scuola Nazionale di Danza di Atene; la Compagnia di Balletto dell’Opera del Cairo: Troubleyn/Jan Fabre, il Balleto Preljocaj; la Scuola di Belle Arti a Monaco.

Quanto vale il corpo di un artista?

Non credo mi piacciano le sigarette accese nei teatri. Mentre siamo seduti ai bordi del palco, Olivier Dubois ha 50 anni. Ce lo ricorda lui seduto dietro la sediola, il mixer ed il computer; prima ci ha offerto sigarette e spumante. Ce lo ricorda il suo corpo, la sua pancia; quasi ne mostra di più. Abbiamo rifiutato le convivialità, ma ci siamo comunque sentiti a casa; sarebbe stato difficile il contrario: il palco è un luogo dove difficilmente non ti senti a casa. Inizia così la dissezione del corpo di un’artista: ha un odore acre, un po’ di carne che va a male e di fumo che s’accumula sotto la lingua: è di una bellezza spettacolare, quest’artista che si fa a pezzi per noi. Grotowsky diceva che l’attore è un uomo che, lavorando in pubblico con il suo corpo, lo dà pubblicamente. Ciò che colpiva allora quando si pensava al mestiere dell’attore, era il 1968, era il suo squallore: l’appalto su un corpo che viene sfruttato dai suoi protettori, i direttori e i registi, cosa che a sua volta fomentava un’atmosfera d’intrighi e di ribellione. Olivier ha denudato il suo corpo per noi; abbiamo scaglionato la sua memoria, quella privata e quella pubblica, per quasi due ore: da buste a caso prendevamo lo spettacolo, da altre buste a caso la musica; lui ballava per noi e qualcun altro lo spogliava. Io ho preso il suo anello; me l’ha messo all’anulare, Dubois, che sembrava un matrimonio; l’ho poi restituito; pesano gli anelli degli artisti, manco avessero da percorrere all’incontrario tutta la strada verso il monte Fato. Pensavo fosse un elemento del costume: credo non lo fosse.

Abbiamo visto Olivier muoversi per noi fino allo sfinimento, danzare fino all’infarto; ci ha chiesto, sudato e ansimante, se volessimo il bis. Noi abbiamo risposto di sì, e quasi il teatro s’è fatto un po’ maniacale: la bellezza incognita delle cose inaspettate indossa spesso una crudeltà un po’ affettata; chi recita da tanto tempo un po’ lo sente addosso, questo tessuto. «non è una rappresentazione. È la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile», avrebbe detto Artaud; non è crudeltà o sadismo, più un rituale magico: un dissacrante spogliarello dell’anima che ci ricorda dei vestiti che abbiamo addosso, a suo modo, come solo lo spettacolo dal vivo sa fare, il prodigio per cui anche una bestemmia est modus per ricordare et amare Dio.

«Raccontare la mia privacy è di poca o nessuna importanza. Ciò che invece il mio corpo e la mia memoria possono scatenare come sensazione intima in chi la osserva è l’essenziale. È qui che l’arte è forse l’atto più democratico. Poiché la ragione del processo artistico, il libretto in un certo senso, è irrilevante, è importante solo la percezione intima dello spettatore. E qualunque sia questa percezione, è legittima ed equa. Non ci sono interpretazioni errate di un’opera. Il lavoro appartiene solo allo spettatore!», Olivier Dubois in un’intervista a Michele Olivieri.

Finito lo spettacolo m’è sembrato di rompere un bicchiere, come se dovesse esserci dentro ancora qualcosa; credo sia perché questo genere di rappresentazione non ha una vera e propria fine: ti lascia sete. Io e Giorgia siamo andati dopo a berci un qualcosa, dopo; ne abbiamo parlato. Le spiego che non sono convinto che abbia senso domandarsi quale sia il valore del corpo di un artista; è una domanda un po’ retorica, dico, quasi pretenziosa. L’arte – concordiamo che il corpo di un artista sia arte – ha valore solo per chi la compra. Però me lo domando; ecco, se c’è qualcuno che forse poteva dargli una risposta, ecco, quello era Dubois stesso; qual è il valore del corpo di un artista per un artista? Ci rifletto; non è una domanda che porrò perché non è una domanda a cui voglio una risposta.

Mentre in macchina torno a vedere le luci della collina di Torino, penso che sia tardi, che Dubois è una sirena, che We Speak Dance sia quasi finito, che i corpi si muovono, si muovono costantemente, anche se le ruote sull’asfalto si fermano e i pensieri sono sconnessi.

Oh, don’t you stop (Don’t stop, you’re moving me) Baby, don’t stop (Don’t stop, you’re moving me) Don’t stop (Don’t stop)

You’re moving (You’re moving, you’re moving me).

Mirco Spadaro

Corpi volano come stormi di uccelli, mormorando nel cielo

Corpi volano come stormi di uccelli, mormorando nel cielo

Asia Passerella ha partecipato al laboratorio di Aakash Odedra e Lewis Major (inserito nella cornice del progetto TANZ TANZ), assistendo poi allo spettacolo. Qui di seguito la sua restituzione. Per altre info sull’opera: clicca qui.

mormorio
/ mor·mo·rì·o /
sostantivo maschile
1 . Rumore attenuato e insistente
2 . Seguito confuso e indistinto di parole pronunciate a mezza voce
Piccolo mormorio.

Tanto fiato, tanto sforzo, minima emissione di suono, quasi impercettibile.

A – A – K – A – S – H

Per anni tutto è sembrato lo stesso. Un nome, scritto e pronunciato, in maniera automatica, giorno dopo giorno.

22 anni
2 lettere uguali
1 lettera mancante

Ecco cosa succede quando si perde qualcosa, qualcosa di fondamentale, di indispensabile.
Se sono le parole a dare forma al mondo, a delinearlo e a renderne ogni aspetto riconoscibile, cosa rimane a chi ha un nome a metà?

LITTLE MURMUR è la storia di un uomo che negli anni porta avanti una ricerca: trovare la sua A mancante. È la storia di un mondo visto attraverso la lente d’ingrandimento della dislessia, fatto di parole fluttuanti, spesso impossibili da toccare. È la storia di una persona che sembra essere anche quella di ognun* di noi, fatta di tentativi, di impegno, di fallimenti, ma anche di luce, nuove strade e
tanto coraggio. Attraverso il corpo, il linguaggio assume nuove forme, diventa istintivo, immediato e onesto.

Scrivere nell’aria, muoversi in un barattolo di miele, volare insieme a uno stormo di uccelli. La fantasia è il motore, lo spazio diventa pagina, il movimento parola. Nascono così nuovi alfabeti emotivi, nuove lenti con cui scoprire il mondo.

Tra schermi e corpi, un pomeriggio di danza

Tra schermi e corpi, un pomeriggio di danza

Giovedì 16 marzo a Torino si è svolta, nell’ambito del 22° Glocal Film Festival, la cerimonia di premiazione del concorso “La Danza in 1 minuto” per la sezione ONE MINUTE – Z GENERATION. La giornata è stata anche l’occasione per festeggiare i 10 anni di collaborazione tra COORPI, associazione organizzatrice del contest di screen dance, e Piemonte Movie che da dieci anni si prodiga nel portare avanti, con uno sguardo interessato e attento, il Glocal Film Festival. Quello di giovedì è stato un pomeriggio all’insegna della danza, vissuta attraverso un rapporto dialettico tra il dentro e il fuori dagli schermi.  Tre gli appuntamenti, districati in diversi spazi, che hanno preceduto il momento finale. Dalla prima tappa, quella della galleria di arte contemporanea Recontemporary, il pubblico si è poi spostato al Cinema Massimo, sostando anche in via Verdi per qualche momento di danza dal vivo.

Sono circa le 15:15, tra le strade sotto la Mole si respirano i primi refoli di una primavera che è quasi alle porte. L’ombra del celebre edificio progettato da Alessandro Antonelli nel 1862 sta per plasmarsi a tocchi di danza. Il sole caldo del meriggio illumina i tanti passi avvicendati lungo via Gaudenzio Ferrari. La destinazione è Recontemporary, galleria esclusivamente dedicata alla new media art, che in occasione della giornata di premiazione  del concorso La danza in 1 minuto ospita l’istallazione di danza in realtà aumentata “Acqua Alta – La traversée du miroir(trad.: Attraverso lo specchio) di Claire Bardainne e Adrien Mondot.

L’istallazione è la narrazione del rapporto tra una donna, un uomo e un luogo, una casa. È la storia di una routine quotidiana in bilico. Un limen contraddittorio e vertiginoso.

Dei libri pop-up, dalle colorazioni monocrome, sono posizionati su un lungo tavolo posto al centro della sala principale della galleria. I visitatori attraverso dei tablet, inquadrando le architetture che emergono tridimensionalmente dalle pagine dei libri. Dagli schermi dei device invece si possono vedere le figure animate, total black,  della donna e dell’uomo muoversi instancabilmente tra le geometrie dello spazio tracciate dai pop-up. Si osservano i corpi entrare in relazione. Ma ecco che irrompe l’imprevedibilità del disordine. La pioggia si abbatte improvvisa sulla casa. L’acqua nero inchiostro inizia a sommergere tutto, comprese le due figure. Della donna resteranno visibili soltanto i capelli che continueranno a galleggiare trasportati come da dalle correnti. 

L’istallazione si concentra sul concetto di perdita e sull’istinto umano al dover ricercare. Emerge la paura nei confronti dell’ alterità (in termini socioculturali, oltre che filosofici), ma non solo. I due artisti indagano su come domare la paura verso ciò che sconvolge perché sconosciuto.

Dopo il primo momento che ha dato il via alle danze, il luogo dell’azione si sposta al Cinema Massimo all’interno della sala dedicata a Mario Soldati. In programma il Tolk di Enrico Coffetti, fondatore di Cro.MeCronaca e Memoria dello Spettacolo di Milano – dal titolo “Dance on Screen”. L’imprevedibilità, questa volta benevola, aleggiando nell’aria tiepida di questo pomeriggio di marzo, porta una leggera modifica sulla conduzione del panel. Alla presenza della studiosa e critica di danza Elisa Guzzo Vaccarino non le si può che richiedere un intervento. Il momento si trasforma così in una co-conduzione appassionata e densa sulla storia della screen dance.

Lo schermo della sala Soldati, nel corso dello svolgimento dell’incontro, si illumina di performance. I video proposti aiutano i presenti a districarsi all’interno di una prospettiva di studio di notevole ampiezza.

Il tempo incalza, dalla magica sala buia si passa alla strada. L’appuntamento è all’ingresso del Cinema Massimo, in via Verdi. Sono circa le ore 18:00, i sempre più numerosi capannelli di gente attendono intrepidi le due micro coreografie “La la dance” eHair Tribe approntate dall’Associazione Eclectica, con le coreografie di Federica Pozzo.

Le danzatrici sono: Cecilia Bava, Isabel Borella, Cecilia Cisella, Margherita Data Blin, Arianna Falciola, Alice Tarabra. Numerosi i passanti, che attratti dalla fiat cinquecento rosso aragosta, scenografia delle performance, si fermano a dare un’occhiata a ciò che succede. Si inizia od udire la musica, le porte del Massimo si spalancano e finalmente fanno la loro comparsa  le sei danzatrici. Indossano dei trench di differenti colorazioni. Si va dall’arancio al verde petrolio, passando per diverse gradazioni di beige e di blu. Inconfondibile, sia nel titolo che nelle musiche, l’omaggio al film musical “La La Land” diretto da Damien Chazelle con le musiche di Justin Hurwitz e al rock musical “Haire” scritto” da James Rado e Gerome Ragni, con musiche di Galt MacDermot.

Un vortice dinamico si trasferisce dalle danzatrici agli spettatori. La vettura, dallo smalto brillante, diviene centro dell’azione. Le performer entrano in relazione con essa. I movimenti zelanti si susseguono, la scenografia viene agita. Le portiere vengono aperte, i movimenti e i gesti, in rapida successione, si inscrivono all’interno dell’abitacolo dell’auto. I tanti smartphone si alzano ad immortalare il momento. Qua e là si vedono alcuni piedi degli spettatori muoversi a tempo di musica. Il ritmo sembra essersi ulteriormente acceso. Si è decisamente pronti per rientrare in sala, questa volta per il momento finale, oltre che  più atteso della giornata. Son tutti pronti per assistere alla premiazione.

La sala è ancora una volta la Soldati. Il pubblico è numeroso, tra i concorrenti presenti si respira l’intrepida voglia di scoprire i risultati delle votazioni della giuria.

A prendere la parola è Lucia Carolina De Rienzo, direttrice artistica del contest di video danza, che rivolge i ringraziamenti a Piemonte Movie per l’ospitalità, ai vari partners, ai sostenitori, alla rete di realtà che appoggiano l’evento e naturalmente agli autori presenti tra il pubblico. Ad affiancarla Marco De Pasquale coordinatore della novella commissione artistica DAMS & CAM formata da Alice Dell’acqua, Gianluca Fiore, Sofia Fiorentini, Samuele Giubergia, Parnian Javanmard e Michele Pecorino.

È proprio scelta di quest’anno, con l’edizione dedicata alla generazione Z, quella di formare una commissione artistica composta da under 26.

Tra i 15 finalisti selezionati è stata poi la Giuria di Qualità, composta da Irene Dionisio  – regista (presidente di giuria), Elisa DAmico – danzatrice freelance, Francesco Dalmasso – danzatore freelance, Guglielmo Diana – musicista e sound designer, Marco Longo – regista e produttore e Carlota MachadoDirettore di produzione, Quinzena de Dança de Almada – Festival Internazionale di Danza, Portogallo – a decretare i vincitori.

Arriva il momento magico, in sala le luci si spengono per lasciare spazio alla proiezione dei primi dieci video ammessi alla votazione on-line, comprendente un totale di 25 lavori.

In questa edizione, il numero dei candidati provenienti dall’Italia è considerevole, ma non mancano  anche quelli provenienti da paesi quali: Cina, Germania, Russia, Francia, Ecuador, Spagna, USA, Nigeria, Iran, Polonia, Regno Unito, Ucraina, Australia, Chile, Colombia, Bulgaria, Israele, Ruanda,  e Paesi Bassi.

Una volta presentata la Giuria di Qualità e spiegato il funzionamento del voto del pubblico, si passa alla visione dei restanti 15 video, nonché finalisti, tra cui la Giuria di qualità ha individuato i vincitori.

Uno dietro l’altro si susseguono come in una corsa verso il podio. Le pupille degli spettatori si muovono scattanti tra le molteplici proiezioni della danza, i volti si illuminano di espressioni. Colori sgargianti, cieli plumbei, montaggi dinamici e musiche incalzanti modulano la nera scatola in cui il pubblico è immerso.

Una volta presentati tutti i video si può dare il via alla premiazione. Si procede partendo dal premio della rete decretato dal pubblico votante. Sul podio “Stormo Take 2” di Ruggero Romano che riceve ben 1017 voti, a seguire “6 Lati” di Irene Zoppelletto con 545 voti ed in fine “Sologram” di Cora Gasparotti e Giacomo Spaconi.

Ad imporsi significativamente in questa edizione è “1,2 and their cigs (3,4)” di Laura Carnevali. L’opera, oltre ad aggiudicarsi il Primo Premio della Giuria di Qualità, ottiene il Premio Speciale Z Generation Artistic Committee, e la Honourable Mention Quinzena de Danca de Almada.

Il linguaggio surreale a cui fa ricorso l’autrice in questa sua opera, racconta un mondo reale.  Ridisegna gli aspetti più scontati della quotidianità attraverso una grammatica del corpo, capace di trasformare i caratteri, da tutti riconosciuti come conformi, in elementi simbolici.

A ricevere il Premio Speciale della Giuria – Best Storytelling sono, a pari merito, le opere “Polo” di Ilaria Bagarolo e “Nakładamy się” di Ewelina Węgiel.

A colpire di Polo” è la sua raffinata fotografia e la narrazione che a tratti si mostra misteriosa ma efficace. “Nakładamy się” è invece la proiezione di una danza collettiva. Al di fuori di ogni logica narrativa prevale una certa libertà dove prevale l’influsso del Direct Cinema.

Il Premio Speciale della Giuria – Best Dance Animation va a “The Body” di Nika Zhukova e Rimma Gefen. Il sapiente dosaggio tra la stop-motion e la danza contraddistinguono  questo lavoro nato e sviluppatosi attorno al tema del femminile.

La Menzione Speciale d’Onore, della Giuria Internazionale, e la Menzione Piemonte Movie sono invece assegnate a “Am I the lanscape?” di Noemi Piva. A ritirare il premio, in assenza dell’autrice, sono Sara Chinetti e Federica Siani, danzatrici che hanno preso parte al lavoro. L’opera in concorso è un’interessante racconto di un corpo che allo stesso tempo è casa e limite. La narrazione avviene attraverso una attenta e originale poetica visiva. La giovane coreografa indaga sul paradossale legame venutosi a creare tra le due concezioni del corpo, quali: punto sicuro e luogo impossibile. 

La Menzione Speciale SOLOCOREOGRAFICO Solo Dance Festival va a “Absent Presence” di Giorgia Ponticello, da cui emerge un’astratto minimalismo capace di innescare nello spettatore una immaginazione priva di confini che tenda verso “quell’elemento altro” non visibile all’interno dell’inquadratura. 

In fine la Menzione ZED Festival è stata assegnata a “Ticking”, lavoro d’animazione, di Lara Parisek.

La figura di una donna, resa attraverso la tecnica dell’animazione bidimensionale, abbandona l’iniziale monocromia fino a raggiungere una esplosione finale di colori.

Il pomeriggio dedicato alla premiazione è dunque stato particolarmente denso di performance ed emozioni. Dalle parole di chi ha preso parte ai vari momenti pomeridiani emerge quanto l’evento sia stato proficuo per sviluppare nuovi sguardi inerenti ai mutevoli discorsi della screen dance, in continua evoluzione insieme ai corpi danzanti. Si chiude così la prima parte del contest la ONE MINUTE – Z GENERATION. Il contest invece continuerà con la seconda sezione BEYOND ONE MINUTE grazie alla collaborazione con il ZED Festival internazionale di Videodanza di Bologna.

Michele Pecorino


La danza in 1 minuto è un progetto di COORPI
Direzione artistica Lucia Carolina De Rienzo
Curatore 1 Minute Competition – Z Generation Marco Di Pasquale
Festival Manager Valeria Palma
Social Media Manager Laura Cappelli
Tecnologia Alessandro Grigiante, Cristiana Candellero

Con il sostegno di
MiC – Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo | Regione Piemonte | Fondazione CRT | TAP – Torino Arti Performative

In collaborazione con
Piemonte Movie | Cro.Me. – Cronaca e Memoria dello Spettacolo | ZED Festival – Compagnia della Quarta | DAMS & CAM, Università degli Studi di Torino

In rete con
Lavanderia a Vapore – Centro di Residenza per la Danza | Scenario Pubblico (Catania) | Fondazione Egri per la Danza (Torino) | Festival Mirabilia (Cuneo) | Lago Film Festival (Revine Lago – TV) | IperCorpo – Città di Ebla (Forlì) | Fuori Formato Stories We Dance – Augenblick (Genova) | Cam Cam Movimento Danza (Napoli) | CloseUp Festival (Crema) | Cinedans (Amsterdam – NL) | Tanzrauschen (Wuppertal  – DE) | Choreoscope (Barcelona –  SP) | Nudance Festival (Bratislava – SK) |  Agite y Sirva (Città del Messico – MX) | Terre da Film Festival (Canelli – AT)

Media Partner
DanzaDove –  l’applicazione nazionale della danza | Ti Consiglio

La danza in 1 minuto è un’azione di PRO|D|ES Danza – Promozione Digitale Danza Estesa, progetto a cura di COORPI, CRO.ME – Cronaca e Memoria dello Spettacolo, Compagnia della Quarta, con il contributo del MiC – Ministero della Cultura – Direzione Generale Spettacolo

Diversità in scena: un reportage

Diversità in scena: un reportage

Dal 14 al 17 febbraio, la Lavanderia a Vapore ha ospitato una tappa di Diversità in scena, percorso di formazione tra Italia e Regno Unito curato da OrienteOccidente e Stopgap Dance Company e sostenuto dal British Council nell’ambito di International Collaboration Grant. Tutor del workshop, Giuseppe Comuniello (Al.Di.Qua Artists), Laura Jones e Cherie Brennan (Stopgap Dance Company). La tre-giorni sulle pratiche della danza e del teatro fisico era desintata sia ad artiste e artisti con ruoli di guide interessati ad ampliare il proprio bagaglio di competenze, sia a curiosi e amatori, con e senza disabilità. Il progetto si inscrive nel solco della linea strategica di Piemonte dal Vivo sull’accessibilità, in previsione di Carte Blanche Exchange, realizzato dal 22 al 26 maggio a Collegno, in collaborazione con la rete EDN – European Dancehouse Network, il collettivo Al.Di.Qua Artists e lo Spazio Kor di Asti.


Block notes
di Asia Passerella

Asia Passerella – social media manager di Lavanderia a Vapore – traduce la propria esperienza formativa con Al.Di.Qua Artists e Stopgap Dance Company in un blocco di appunti digitale.


Moti gentili e segni viscerali
di Eugenia Coscarella

Eugenia Coscarella – progettista per Lavanderia a Vapore e dramaturg di comunità – racconta attraverso la propria voce e quella di alcuni partecipanti al percorso il modo in cui i formatori abbiano saputo costruire un contesto abilitante, inscrivendo nei corpi un modo di creare e collaborare equo, inclusivo, capace di entrare e trasformare “sottopelle”.

Da esploratori ed esploratrici di silenzi
con fragranza
siamo entrati nel respiro.

Ascoltare, ascoltare
 e ancora ascoltare.
In questa semplicità dimora la cura.

Benvenuto nella nostra casa,
benvenuta.
Cosa ti serve per stare bene qui?

Da questa domanda, cominciano i nostri quattro giorni di formazione condotti da Laura Jones e Cherie Brennan, co-direttrice artistica e artista del coinvolgimento della comunità di StopGap Dance Company, con il supporto di Lottie Vallis e la partecipazione di Giuseppe Comuniello – Al.Di.Qua. Artists che, insieme, portano avanti una leadership di artisti/e con disabilità.

Di cosa avete bisogno per stare bene qui?

La domanda apre al silenzio.
Bisogna fermarsi e ascoltare.
Scendo a trovare il mio respiro, cosa mi dice?
Ognuno trova le parole per tradurre quel sussurro.

Con semplicità, partiamo dalle cose più basilari, come la necessità di sapere come è fatto lo spazio, dove trovare le cose che servono, a chi rivolgersi, per arrivare alle piccole profondità di ognuno.
Dall’ascolto reciproco nasce il nostro access agreement, l’accordo sulle condizioni necessarie di tutti per stare bene insieme ed un luogo dove depositare in qualsiasi momento le nostre domande e i pensieri.

Ogni mattina inizia con una domanda che direttamente o indirettamente ci fa dichiarare bisogni, stati d’animo, intenzioni, desideri, obiettivi della giornata. Un check-in fondamentale per allenare l’ascolto individuale e di gruppo, il prendere parola, l’attenzione, il condividere, prendere e lasciare spazio.
Accoglienza, dialogo, fare casa.
Così le conduttrici creano le condizioni e un contesto abilitante per e con ciascun partecipante, guidando un gruppo intergenerazionale, composto da persone con e senza disabilità in un ricco processo creativo, utilizzando corpo, suoni, parole, immagini secondo i linguaggi della danza contemporanea e del teatro fisico.
Con leggerezza e semplicità entrano nella profondità delle questioni che portano, non dibattendo sul tema, ma inscrivendo nei corpi un modo di creare e collaborare equo e inclusivo, sia nella danza che negli aspetti quotidiani del vivere, muovendo il cambio atteso dall’interno.

Benvenuto nella nostra casa,
benvenuta.

Qui,
le fragranze si moltiplicano,
moti gentili e segni viscerali
animano
tutto ciò che abita sottopelle.

E adesso,
esploratori ed esploratrici di silenzi,
dite voi,
cosa rimane?

Ascolta “DIVERSITÀ IN SCENA | La voce della comunità” su Spreaker.

Credits
Ringrazio per il contributo alla realizzazione del podcast (in ordine di uscita): Edoardo Urso, Orazio Spagnolo, Claudia Loss, Ilaria Bagarolo, Maria Vozza, Valentina Roselli, Gianna Bettega, Massimiliano Iachini, Sara Aprile e Arianna Perrone.

Ringrazio Kahlil Gibran, perché attraverso le parole de Il profeta, ho potuto trovare le mie.