Si può “danzare” un’opera d’arte? È possibile percepire un quadro con sensi diversi dalla vista? Può la visione di un’opera d’arte essere cura per il corpo? L’approccio applicato da noi coreografe a sostegno del progetto DanzArte ha l’obiettivo di accompagnare ogni individuo in un’esperienza estetica capace di integrare risorse emotive e cognitive. Alla base della nostra proposta risiede la concezione di corpo inteso sia come esperienza sensoriale sia come dimensione conoscitiva interiore. Questo orientamento e il metodo utilizzato sono frutto di una pluriennale esperienza in ambito somatico, coreutico e terapeutico, sperimentato in diversi contesti: formazione e produzione con danzatori professionisti e amatori, nell’ambiente scolastico a partire dagli 8 anni e con varie declinazioni della fragilità.
Ispirandosi alle scoperte in ambito neuroscientifico[1] che offrono nuove prospettive sia in ambito performativo che in quello pedagogico, il nostro approccio, utilizzato all’interno del progetto DanzArte, fa riferimento ai forti legami tra l’ambito dell’apprendimento per imitazione motoria e l’ambito della neuroestetica che ha come oggetto di studio le basi biologiche dell’esperienza estetica [2]. Considerando la persona come fine cui tendere e il processo come mezzo per raggiungere l’interezza dell’individuo, proponiamo lo sviluppo di azioni che radichino in una pedagogia somatico-immaginale, capace di portare i fruitori a sperimentare una pratica completa e profonda, orientata a una traduzione cinestetica delle opere d’arte ponendo in dialogo arti visive e movimento/danza.
Raffaello, Madonna d’Alba, 1510, olio su tavola
Luca Cambiaso, Riposo durante la fuga dall’Egitto, 1527-1585, olio su tela
Il nostro orientamento si sviluppa in una narrazione semplice ma approfondita dal punto di vista tecnico e linguistico con un utilizzo sapiente della parola, in grado di orientare alla sensorialità e alla fluidità motoria, qualità fondamentale per garantire un’esperienza di benessere. Attraverso alcune semplici pratiche e l’ascolto delle connessioni suscitate dalla visione, si può arrivare a modulare la propriocezione corporea, le risposte gestuali ed emotive, alimentando il complesso processo di costruzione del proprio sé.
Pertanto, in riferimento al progetto DanzArte, abbiamo tradotto graficamente le linee di movimento ispirate alle opere di L. Cambiaso originando un collegamento empatico e formale [3]. Successivamente abbiamo organizzato partiture gestuali a loro ispirate, validate dai medici del dipartimento di cure geriatriche dell’Ospedale Galliera di Genova, affinché potessero rispondere a diversi livelli di complessità, tenendo in considerazione alcuni elementi tecnici: innanzitutto, allineamento posturale e organizzazione nello spazio, con una particolare attenzione alle strutture osteo-articolari e alla coordinazione motoria.
In conclusione, abbiamo cercato di riportare la parola “estetica” alla sua origine, aisthesis, alla percezione della bellezza attraverso i sensi, la cui radice rimanda alla nozione di “accogliere” e “inspirare”: quel trattenere il fiato dalla meraviglia che è risposta primaria [4]. Collaborare al progetto DanzArte ha significato per noi porre nuovamente al centro il senso di estasi e rivelazione, guardando le cose nella loro unicità sensibile e facendo riemergere in ogni corpo la possibilità stessa di rivelarla giacché la Bellezza è una necessità ontologica, che fonda il mondo nella sua molteplice particolarità sensibile.
Francesca Cola e Debora Giordi, coreografe
NOTE [1] V. Gallese, L. Fadiga, L. Fogassi, G. Rizzolatti, Action Recognition in the Premotor Cortex, «Brain», II, 119 (1996), pp. 593-609; G. Rizzolatti, L. Fadiga, V. Gallese, L. Fogassi, Premotor Cortex and the Recognition of Motor Actions, «Cognitive Brain Research», II, 3 (1996), pp. 131-141; D. Freedberg, V. Gallese, Motion, Emotion and Empathy in Aesthetic Experience, «Trends in Cognitive Sciences», V, 11 (2007), pp. 197-203. [2] B. Calvo-Merino, D.E. Glaser, J. Grèzes, R.E. Passingham, P. Haggard, Action observation and acquired motor skills: an FMRI study with expert dancers, «Cereb Cortex», XV, 8 (2005), pp. 1243-1249. [3] S. Zeki, Inner Vision. An Exploration of Art and the Brain, Oxford University Press, Oxford-New York 1999, p. 126. [4] J. Hillman, A Blue Fire, Adelphi, Milano, 1996, p. 440.
Laura Gazzani e Lorenzo De Simone, giovani danzatori e coreografi recentemente impegnati in progetti di residenza presso la Lavanderia a Vapore di Collegno, penetrano all’interno delle rispettive poetiche coreografiche, provando a riflettere sulla funzione in esse esercitata dalla sfera emotiva e dallo spazio pubblico di relazione.
In che modo la tua ricerca artistica si lega alla volontà di “ingaggio” emotivo delle persone a cui ti rivolgi o con le quali ti interfacci? Nella tua creazione, infatti, si affida uno specifico ruolo alle emozioni, intese quali “strumenti metodologici” (una visione – questa – particolarmente interessante, specie considerando la prospettiva corpo-centrica a cui di norma le pratiche di danza vengono ricondotte).
Laura: «Inizio col dire che Walter è nato da un mio forte bisogno emotivo, dalla necessità cioè di tornare a emozionarmi mentre danzo (o quando vado a teatro) e dall’urgenza di condividere tale motus con gli altri. La spinta principale da cui è germinato l’intero lavoro è stata comunque, in primis, la voglia di “dare possibilità” a un momento del tutto personale. Ero in casa durante il lockdown e avevo scelto – un po’ per svago, un po’ per darmi un tono in camera mia – di ascoltare un vinile di Strauss… Ne è discesa un’emozione forte, che mi ha spinta fino alla commozione, al pianto. Non potevo procrastinare: ho scelto di buttarmi e di seguire la rotta indicatami da quel segnale. In Walter mi servo così del valzer a mo’ di strumento per ricreare un ambiente di incanto e di incontro, pensato per gli esseri umani più disparati. Vorrei insomma dar vita a un ecosistema in cui i soggetti che lo abitano, che ne fanno esperienza, riescano a rintracciare il piacere dello stare insieme, quel puro e semplice ἡδονή di chi va in una ballroom per divertirsi o in piazza per incontrare un amico. Scambiarsi un sorriso, uno sguardo, a volte segreto, furtivo, mantenendo anche una certa segretezza. Come in una relazione fugace, in un flirt, in un incontro inatteso».
Lorenzo: «Variazione #2: Elogio alla Gentilezza si basa su una “drammaturgia scientifica”: il materiale presente nasce infatti da un processo di ricerca sviluppato nel corso del 2020. Partendo da alcuni laboratori con adolescenti, sono state create e selezionate 41 fotografie, disposte – mediante la somministrazione di un questionario e un’analisi quantitativa – in scala dalla meno alla più gentile e contestualmente suddivise in tre categorie. La specifica articolazione di questo corpus iconografico ha indotto nei soggetti una verificabile modificazione a livello percettivo in relazione al costrutto “gentilezza”. Le tre classi cui appartengono le foto sono COGNIZIONE, COMPORTAMENTO ed EMOZIONE. La sequenza categorica rivela innanzitutto come la gentilezza venga percepita attraverso l’emozione. Ma come esercitare l’emozione? Come fare in modo che essa diventi la linea di confine che permette di distinguere la gentilezza da altri comportamenti? Come condurla all’interno di processi corporei affinché il gesto, il movimento, in ultima istanza il corpo stesso, diventino gentili? Credo che una tra le possibili risposte (quella che ho scelto di sviluppare in quanto affine a me e al mio percorso) riguardi lo “spazio tra”, ossia quella dimensione liminale e apparentemente vuota tra due persone, tra due corpi, in realtà fortemente carica di immagini, sensazioni, aspettative, emozioni, pregiudizi, energia. In questo spazio entra ed emerge il concetto di “confine”: quanto l’Altra persona mi vuole vicino? Quanto lontano? Quanto e quando posso travalicare tale confine? Come posso farlo? Uno sguardo, l’avvicinamento di una mano, uno spostamento del proprio corpo in avanti o indietro, un respiro, uno stare accanto… Piccoli gesti, semplici, delicati, ma nondimeno densi e carichi di quell’ascolto, di quella profondità, di quello stato emotivo che consentono di dare sostanza, forma e colore all’inbetween. Obiettivo è incontrare davvero l’Altro, travalicando (simbolicamente) quelle linee di demarcazione (emotive più che fisiche) che ciascuno di noi possiede».
ph. Dario Bonazza
Come lo spazio pubblico diventa “agente destrutturante” (di forme e relazioni di potere), attivando canali di connessione e generando interferenze?
Laura: «Lo spazio pubblico che utilizzo è la piazza, intesa come luogo attraversato da miriadi di persone diverse che lì convergono. Lo spazio pubblico è per me un crocevia, un luogo di quotidiano scambio, vissuto sempre con sorrisi diversi, generazioni differenti: è un ambiente pregno di storia e di storie, che si vanno a costituire e dipanare giorno per giorno. Con Walter ho iniziato a dirottare la mia ricerca sul “cambio del punto di vista”, in relazione alla dualità pubblico/performer. La performance si crea infatti nell’ambiente che la ospita e chiunque sia presente è performer dell’opera stessa. Vorrei destrutturare ogni relazione che ci costringe in ruoli ben definiti e stabiliti una volta per tutte: il valzer, ad esempio, è in sé una struttura di potere… I danzatori dovrebbero attenersi a regole precise, spaziali e motorie. In Walter, perciò, sono partita da questo tessuto normativo, per la precisione dai tre dati all’apparenza più tangibili e restrittivi: il conteggio, il roteare in coppia e la relazione nello spazio. Approdo è stata la loro destrutturazione e la definizione di una nuova armonia entro uno spazio concentrico e attraente. La ricerca si muove così in un sistema coinvolgente pur nella sua rigidità, volendo creare un’esperienza totalizzante. Sono all’inizio di questo processo e so già che non è ancora giunto il momento di veder realizzato questo grande desiderio. Per ora, con Walter, mi sento di aver compiuto un primo, timido, passo all’interno di una vasta e stimolante nebulosa».
Lorenzo: «È una domanda davvero molto complessa, a cui non credo di poter dare una risposta certa. Considerando l’esperienza svolta in Lavanderia, grazie all’aiuto di Elisabetta Consonni, potrei forse dire che lo spazio pubblico non destrutturi tanto le forme, quanto piuttosto permetta di osservarle da una prospettiva altra, ritrovandole certamente, ma con qualità, spazi, tempi diversi da quelli della ricerca intima. Lo spazio pubblico allena e raffina lo sguardo, consente di osservare più declinazioni di un medesimo gesto, sensibilizza gli occhi, il corpo, la percezione. Non so quanto lo spazio pubblica crei “interfenze”: semplicemente amplia la visione e le possibilità di ricerca. Certo sposta il proprio immaginario, lo amplifica, costruisce un ventaglio maggiore di possibilità attorno a quanto si sta cercando (che sia un tema, un movimento, una relazione, un corpo, una sensazione, un’emozione), attivando così connessioni altre tra spazio, tempo, forma e qualità, tra ricerca e azione, tra spazio pubblico e spazio privato, tra Io e l’Altro. Ma non interferisce, semmai moltiplica».
Prosegue la raccolta di testimonianze e tracce di lavoro da parte dei protagonisti di SWANS NEVER DIE, progetto condiviso che ha accompagnato le azioni della Lavanderia a Vapore nel corso della stagione 2021/’22.
Debutto di RÊVERIE AUPRÈS DES CYGNES alla Fontana dei 12 Mesi (Parco del Valentino, Torino), il 29 aprile 2022 per la Giornata Mondiale della Danza – ph. Massimo Malco
RÊVERIE AUPRÈS DES CYGNES è la coreografia di Ornella Balestra con cui è giunto a conclusione il percorso di re-enactment, “rimessa in azione”, de La morte del cigno (1905) con una comunità intergenerazionale. La co-curatela di Rita Maria Fabris e Mariachiara Raviola, nell’ambito del progetto pluriennale “La Piattaforma. La Città Nuova. Natura, paesaggio e rito nella danza contemporanea di comunità”, ha accompagnato tredici persone danzanti ad attraversare un’esperienza di trasmissione e incorporazione di una serie di “rêverie” della celebre coreografia con Anna Pavlova.
L’attenzione che Ornella Balestra nutre per la filologia del gesto e per l’affettività che esso smuove nei corpi danzanti di oggi, insieme con una scelta musicale velata di nostalgica poesia e di risonanze di acqua scrosciante, hanno costituito – in occasione del debutto presso la Fontana dei 12 Mesi del Parco del Valentino, lo scorso 29 aprile – il preludio a un’esperienza immersiva per gli spettatori, non intesi quale semplice pubblico di un evento frontale, bensì come testimoni di un rito intimo che ha disvelato, attraverso il respiro, l’eterno e naturale ciclo di abbandono e ritorno, di morte e rinascita nei corpi e nelle stagioni.
Il re-enactment con la comunità verrà riproposto domenica 22 maggio nel giardino di Cascina Grangia di Torino per gli ospiti della RAF gestita da Cooperativa Esserci e della RSA gestita da Cooperativa Moscati.
Ornella Balestra, Rita Maria Fabris, Mariachiara Raviola
ph. Paolo Sacchi
ph. Paolo Sacchi
A partire dal celebre La morte del Cigno, ho deciso di lavorare sulla creazione di un breve solo per indagare la vulnerabilità come condizione capace di suggerire molteplici possibilità di espirare un movimento sempre nuovo e necessario, e quindi riscoprire il desiderio del corpo, generare rivoluzione scardinando un meccanismo che altrimenti si ripeterebbe. Nello stesso tempo mi interessa riflettere sul privato che diventa pubblico indagando una postura che resta sempre sul confine tra questi due spazi. Nello specifico mi sono concentrato sul “corpo affaticato”, appesantito dalla gravità e dagli eventi, e su come in quella condizione estrema di arresa il corpo può scatenare un gesto di resistenza che si trasforma in una danza. Ho deciso di lavorare con una performer d’eccezione, Ornella Brero, una donna che sale per la prima volta su un palco con questo lavoro, aprendosi totalmente allo sguardo del pubblico. Il processo è stato accompagnato da Francesca Dibiase, già danzatrice della compagnia. La ricerca durante il processo ha portato alla nascita di una pratica specifica, che vede la performer intenta ad alternarsi tra fasi di totale riposo e arresa, a momenti in cui, grazie al suo profondo ascolto, si affida alla nascita di una nuova percezione sulla pelle, un invito a seguire quell’impeto e a lasciarsi condurre nel suo sviluppo senza sapere dove conduce. Tra un azione e l’altra Ornella costruisce sculture in movimento verso cui ha estrema cura, per approdare su di una nuova sponda dello spazio in cui riposare e attendere il prossimo slancio di vita. In quella condizione di ascolto e arresa Ornella si mette in ascolto di ciò che realmente la anima, si affida alla sensazione che le si attiva addosso e la realizza come se esaudisse un desiderio. In questo modo la performer è come mossa costantemente dalla corrente, ma attenta alle soluzioni che il corpo suggerisce, abitando nel suo viaggio uno spazio di libertà, uno spazio di scelta, uno spazio per il possibile.
Proviamo a spiegarlo attraverso le parole di Franco Purini, architetto e docente di fama internazionale (classe 1941) che – fra le altre – nel 1979 collaborò con l’allora assessore alla cultura del Comune di Roma, Renato Nicolini, per la realizzazione di Parco Centrale, effimero progetto di “meraviglioso urbano”, finalizzato alla teatralizzazione della Città Eterna, grazie a una serie di palcoscenici diffusi (ciascuno dei quali dedicato a una disciplina artistica: il teatro, la musica dal vivo, il ballo e la TV), disseminati al di là delle mura aureliane.
Con l’espressione spazio pubblico si intende in prima istanza quell’insieme di strade, piazze, piazzali, slarghi, parchi, giardini, parcheggi che separano edifici o gruppi di edifici nel momento stesso in cui li mettono in relazione tra di loro. Si tratta di un sistema di vuoti urbani di diverse forme e di dimensioni anch’esse variabili che rappresentano, per così dire, il negativo del costruito. Individuato per la prima volta in termini espliciti da G.B. Nolli nella sua Nuova pianta di Roma pubblicata nel 1748, questo sistema, la cui progettazione e la cui cura sono affidate di solito all’amministrazione della città, si traduce nella struttura urbana in sequenze prospettiche che conferiscono un senso preciso e conseguente alla presenza dei manufatti. […] Considerando lo s. p. da un altro punto di vista, vale a dire non analizzandone l’essenza fisica, ma i suoi usi e i suoi significati, esso si rivela come il complesso degli ambienti urbani esterni il cui accesso è non solo aperto a tutti, ma riveste un carattere particolare, riguardante la qualità del modo con il quale questa accessibilità si dà. Con l’espressione spazio pubblico si intende in questa accezione l’esito della compresenza di più categorie tese ad assicurare una specifica tonalità ideale, iconica e comportamentale alla fruizione di strade e di piazze. […] Oltre a questa appropriazione interviene poi la capacità di rappresentare, tramite adeguate sistemazioni architettoniche degli invasi urbani […], la comunità urbana nei valori che la istituiscono come tale. Tutto ciò in una condizione di lunga durata, nel senso che questo processo rappresentativo si definisce attraverso l’iterazione nel corso di decenni, e molte volte di secoli, di particolari momenti associativi che riguardano la vita religiosa, civile, politica.
Franco Purini, ad vocem“spazio pubblico” in «Enciclopedia Italiana – Treccani»
E nelle arti performative (nel teatro, nella danza…)?
Il teatro è una manifestazione potente e radicale del rapporto fra fatto creativo e società. Nell’antica Grecia, il teatro era il luogo di congiunzione tra la speculazione filosofica, praticata lungo la via del Peripatos ateniese, e la maestosità dell’Acropoli con i templi dedicati agli dei. Anche geograficamente, il teatro di Dioniso, il primo teatro della Grecia antica, è situato ai piedi del Partenone, dedicato a Giove e poi successivamente ad Atena, figlia di Giove partorita dalla testa del padre, anche conosciuta come dea della sapienza. La sapienza dunque, come vetta di un percorso che parte dal teatro, da una esperienza collettiva, passando per la catarsi, la purificazione attraverso la quale la comunità prende consapevolezza di se stessa vedendo rappresentati tutti gli aspetti più oscuri e indicibili dell’esistenza. Le diverse forme di questo passaggio sono, nella civiltà occidentale, la speculazione filosofica e il linguaggio poetico attraverso i quali prende forma l’ethos di un popolo, la sua identità. Tramite l’esperienza teatrale la moltitudine degli spettatori si fa corpo collettivo che vibra all’unisono e accorpa, appunto, la dimensione affettiva ed emotiva dei valori sociali condivisi. Nella società contemporanea interconnessa e digitale il teatro mantiene ancora la sua funzione grazie alla sua qualità di arte dinamica che riproduce questa esperienza del qui ed ora. Ancora di più, nell’era del consolidamento dell’uso del digitale nella vita quotidiana, il teatro può vivere una stagione di rinnovata vitalità ed estremo interesse in termini sociali.
Offre quello spazio di creatività che l’individuo contemporaneo non può più distribuire in molte piccole azioni del quotidiano e dell’occupazione stretta nelle rigidità del digitale; lo spettatore è sempre più compartecipe della costruzione del significato collettivo dell’evento e al tempo stesso ne viene trasformato attraverso la relazione diretta, già elemento fondamentale che contraddistingue il teatro dalle altre arti. Secondo Ferrarotti l’arte e la società si incontrano in un complesso abbraccio e a seconda della stretta, questo può diventare un abbraccio mortale o salvifico (Ferrarotti 2007). La ricaduta dell’azione teatrale in termini sociali può quindi essere declinata in vari aspetti: teatro come spazio pubblico, dunque riappropriazione politica di una presenza sociale; teatro come evento (Badiou 2015); teatro e benessere collettivo; teatro come strumento pedagogico e di socializzazione ai comportamenti pro-sociali per le nuove generazioni; luogo creativo di espressione e di sviluppo dell’immaginario; teatro poetico di recupero del simbolico; teatro come centro culturale sia per i piccoli che i grandi centri urbani, cuore pulsante di una comunità. Il teatro è tutti questi aspetti in quanto affermazione e recupero dello spazio pubblico, luogo di formazione del corpo sociale e al tempo stesso luogo di riflessione personale, sempre in relazione all’altro da sé.
Così Ilaria Riccioni – ricercatrice confermata e professoressa aggregata in Sociologia generale presso la Libera Università di Bolzano – nella call for papers del Congresso Internazionale “Teatro e spazio pubblico” (9-11 settembre 2021), i cui Atti, dal titoloTeatri e sfera pubblica nella società globalizzata e digitalizzata, hanno trovato recente pubblicazione. La riflessione convegnistica traeva spunto da una pregressa ricerca sociologica – confluita nel volume Teatro e società: il caso dello Stabile di Bolzano (Carocci 2021) – svolta dalla studiosa in seno al Teatro Stabile di Bolzano (tra il 2018 e il 2020), al fine di approfondirne la storia, il peculiare rapporto con il pubblico e – in ultima istanza – l’intenso dialogo intrattenuto con la politica locale e con le diversità culturali del territorio. All’interno della collettanea, edita per i tipi della Guerini & Associati, anche un contributo su Lavanderia a Vapore, a firma di Matteo Tamborrino (dottorando in Storia delle arti e dello spettacolo presso le Università di Pisa, Firenze e Siena e cultore della materia in Discipline dello spettacolo all’Università di Torino): nelle pagine del saggio, la Casa della Danza di Collegno – la cui storia viene ripercorsa ab origine, dalle sue radici “manicomiali” – assurge a paradigmatica esperienza di relazione fra spazio e comunità, tramite affondi su specifiche progettualità.
Ricerche in progress…
Iniziativa particolarmente virtuosa, che merita di essere segnalata in questa sede, è Arte e spazio pubblico, un’esperienza di ricerca, formazione e disseminazione nata dall’azione congiunta della Direzione generale Creatività Contemporaneadel Ministero della Cultura e della Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali. Una riflessione attorno alle dinamiche di interazione tra arte e spazio pubblico (dal secondo dopoguerra ad oggi) su scala nazionale, mossa dalla volontà di sondare le interferenze, ora armoniche ora invece conflittuali, tra elaborazioni teoriche e pratiche progettuali. Il progetto, ideato nel 2021 e attualmente in via di sviluppo (si concluderà infatti – a seguito delle giornate di studio tenutesi a febbraio scorso – con la pubblicazione degli Atti), si è articolato in momenti consecutivi e complementari di studio e ricerca. Per ulteriori info sul programma e sui suoi risultati, si rimanda alla piattaforma dedicata: fondazionescuolapatrimonio.it/en/research/arte-e-spazio-pubblico.
Nell’abbraccio riconosco l’esistenza dell’altro e ne condivido per un istante l’appartenenza a una comunità.
Marc Augé
Il 12 aprile si è concluso il percorso di VICINA DISTANZA. Giorgia Gasparetto, Priscilla Pizziol e Pablo Santo Krappmann raccontano così il loro progetto, sviluppato nell’ambito di PERMUTAZIONI, il co-working coreografico curato – tra le sale di Casa Luft e la Lavanderia a Vapore – dalla compagnia Zerogrammi, in collaborazione con Fondazione Piemonte dal Vivo.