Un atelier per creare nello spazio pubblico: il video-racconto

Un atelier per creare nello spazio pubblico: il video-racconto


Cosa accade quando il “pubblico” è una nozione e una visione, quando è uno spazio di relazione e non solo un insieme di sguardi? Come osserviamo lo Spazio Pubblico, quello che c’è e quello che manca? Attraverso quali processi creativi è possibile coreografarne stratificazioni, relazioni e movimenti dando vita a creazioni artistiche capaci di attivare un discorso critico sul nostro spazio collettivo?

L’Atelier di creazione per lo Spazio Pubblico è un progetto pilota alla sua 1^ edizione, che Lavanderia a Vapore – Centro di Residenza e Casa Europea della danza – lancia per offrire un percorso di ricerca pratico-teorica ad artiste e artisti interessati a esplorare lo spazio pubblico come contenitore e contenuto della propria sperimentazione. L’Atelier è un percorso di formazione e ricerca aperto a 9 coreografi e coreografe italiani che, grazie alla mediazione di 3 mentor del processo, approfondiranno tematiche, pratiche e metodi di creazione dedicati ad alcuni spazi specifici, intervallando sessioni guidate di lavoro con momenti di ricerca libera e studio sul campo. Un percorso immersivo in cui pensieri e pratiche si nutrono in modo reciproco in una dimensione che oscilla costantemente tra l’individuale e il collettivo. Divisi in 3 sottogruppi, i partecipanti esploreranno diverse poetiche e spazi, lavorando nell’area del Parco della Certosa con il coreografo Quim Bigas Bassart, negli spazi di incontro e aggregazione con la coreografa Jessica Huber e in non-luoghi con l’artista e performer Sara Leghissa. Paesaggio naturale, urbano e umano saranno il tessuto da osservare e lo spazio di un lavoro di mappatura e ricomposizione poetica e politica.


ATELIER DI CREAZIONE PER LO SPAZIO PUBBLICO
un progetto di Lavanderia a Vapore
in collaborazione con Danza Urbana XL e Rete in Situ
si ringraziano Nova Coop e Centro Commerciale Piazza Paradiso di Collegno
partecipano Claudia Adragna, Barb Bordoni, Valentina Bosio, Claudia Caldarano, Michela Depretis, Sara Fraschini, Claudio Larena, Lorenzo Morandini, Filippo Porro, Flavia Zaganelli, Elisa Zuppini
mentor Quim Bigas Bassart, Jessica Huber e Sara Leghissa
con la partecipazione di Carla Esperanza Tommasini

Danzare, sconfinare, festeggiare: un racconto polifonico

Danzare, sconfinare, festeggiare: un racconto polifonico

Lo scorso 29 aprile, una festa diffusa e immersiva ha invaso alcuni luoghi-simbolo della città di Torino, all’insegna della partecipazione e dell’ironia, tra corpi plurali e rovesciamento di codici (scopri di più). Lo staff del Centro di Residenza di Collegno sceglie così di raccontare – attraverso una collezione di tracce verbali e testimonianze fotografiche – le proprie iniziative per la Giornata Internazionale della Danza 2023, rivolte alle nuove generazioni, alle comunità del territorio e al grande pubblico. Dall’energico Baby Rave per le famiglie al Jigeenyi (un format esportato dall’Islanda, realizzato in collaborazione con Reykjavík Dance Festival, Jigeenyi, Ricette d’Africa e Associazione Renken, nell’ambito del progetto Tanz Tanz ) a Le classique c’est chic, classe di tecnica accademica open air a cura di Anna Basti, aperta a chiunque, passando per la lezione settimanale di Dance Well, per l’occasione trasferita al PAV Parco Arte Vivente.


4 x 4

di Asia Passerella

R come Resistenza

resistenza / resi·si·stèn·za /
1. L’azione e il fatto di resistere, il modo e i mezzi stessi con cui si attuano. In usi generici, riferito a persone e animali, o a oggetti e forze fisiche.
2. Attitudine a contrastare efficacemente il prodursi di determinati effetti.

A come Autogestione

autogestione / auto·gestione·ne /
1 .Gestione di un’impresa o di un’azienda da parte dei lavoratori in essa occupati
2 .Gestione di organismi o attività da parte di coloro che vi si riversano.

V come Volontà

volontà / volon·tà /
1. La facoltà e la capacità di volere, di scegliere e realizzare un comportamento idoneo al raggiungimento di fini determinati.
2. Il fatto di volere, e ogni singolo atto e comportamento volitivo.

E come Energia

energia / e·ner·gì·a /
1. a. Vigore fisico, spec. dei nervi e dei muscoli, potenza attiva dell’organismo; b. Fermezza di carattere e risolutezza nell’azione; c. Forza dinamica dello spirito, che si manifesta come volontà e capacità di agire.


Dance Well. Manifesto di una pratica vagabonda

di Eugenia Coscarella

Dance Well festeggia la giornata mondiale della danza al PAV-Parco Arte Vivente di Torino, sito espositivo all’aria aperta e museo interattivo. Un luogo d’incontro, di esperienze, laboratori, rivolti principalmente al dialogo tra arte e natura.

Piero Gilardi, artista e suo ideatore, lo ha definito come “un intreccio dialogico di esperienze, aperto alle alterità innovative, in omologia con i sistemi viventi della biosfera”.

Dance Well, quindi, in questa annualità dedicata all’attraversamento del mondo vegetale e all’incontro e dialogo tra ecosistemi, trova nella natura del parco, il luogo perfetto per festeggiare la biodiversità di un progetto in costante divenire.

Il PAV e Dance Well sono due ecosistemi specchianti, la cui identità emerge e si definisce spontaneamente come quello che Gilles Clement definisce Terzo Paesaggio [1], che non è solo loro oggetto di ricerca, ma anche modo di stare e praticare.

Questa restituzione nasce quindi dal desiderio di far emergere la natura di quest’esperienza e incontro.

Sono partita dal cuore, dai pensieri e parole della comunità di dance well dancers, nati dalla pratica filosofica guidata da Gaia Giovine Proietti durante gli incontri dance well, condotti insieme ai teachers Elena Cavallo, Emanuele Enria, Debora Giordi. Il materiale è stato sviluppato con la comunità, a partire dall’immaginario delle piante che vagabondano, incontrate al PAV e ispirati, tra gli altri, ai testi: Elogio delle vagabonde e Manifesto del Terzo Paesaggio di Gilles Clement.

In questo processo di restituzione, incredibilmente, l’esperienza di terzo paesaggio che pensavo di raccontare, è apparso lì, stava nascendo tra le mie mani in maniera del tutto autonoma.

Guidata dalle parole, è bastato seguire le loro tracce, il loro movimento, lasciarsi condurre dal filo. Con resa audace[2], diventare il semplice tramite di un disegno nascente.

La parola ha chiamato la materia. La materia, la grafia. La grafia, la calligrafia.

Insieme si sono fuse in un movimento da seguire, assecondare, tra intenzione e accidentalità.

L’atto di restituire una pratica è diventato esso stesso pratica, ma non una qualsiasi, esattamente la medesima.

È stato un regalo per me. Spero lo sia anche per tutta la comunità Dance Well.

“𝐵𝑖𝑠𝑜𝑔𝑛𝑎 𝑚𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟𝑠𝑒𝑙𝑜 𝑏𝑒𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑡𝑒𝑠𝑡𝑎, 𝑖𝑙 𝑓𝑢𝑡𝑢𝑟𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑖 𝑡𝑟𝑜𝑣𝑎 𝑖𝑛 𝑛𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛 𝑙𝑢𝑜𝑔𝑜 𝑝𝑟𝑒𝑐𝑖𝑠𝑜. 𝑆𝑡𝑎 𝑛𝑒𝑙 𝑚𝑒𝑧𝑧𝑜. 𝑇𝑟𝑎 𝑖 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑖 𝑎𝑝𝑝𝑎𝑟𝑒𝑛𝑡𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑓𝑖𝑠𝑠𝑖, 𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑖𝑚𝑖𝑡𝑎𝑛𝑜 𝑖𝑙 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑜 𝑐𝑎𝑚𝑚𝑖𝑛𝑜. 𝐼𝑙 𝑝𝑎𝑒𝑠𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜 𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑟𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑐𝑐𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟𝑎̀ 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑣𝑎𝑔𝑎𝑏𝑜𝑛𝑑𝑒, 𝑐ℎ𝑒 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑖 𝑟𝑎𝑑𝑖𝑐𝑎𝑡𝑖 𝑎 𝑢𝑛𝑎 𝑑𝑖𝑚𝑜𝑟𝑎. 𝐸𝑠𝑠𝑒𝑟𝑖 𝑚𝑜𝑏𝑖𝑙𝑖, 𝑎 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑎 𝑖𝑚𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑒, 𝑙𝑒 𝑣𝑎𝑔𝑎𝑏𝑜𝑛𝑑𝑒 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑛𝑡𝑎𝑛𝑜 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑑𝑖 𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎. 𝐿𝑜𝑟𝑜 𝑐𝑖 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑚𝑝𝑎𝑔𝑛𝑎𝑛𝑜. 𝐴𝑐𝑐𝑜𝑚𝑝𝑎𝑔𝑛𝑎𝑚𝑜𝑙𝑒.” (G.Clément)

Se qualcuno mi chiedesse come vorrei che fosse il mondo, oggi risponderei che lo immagino proprio così, come questo luogo eutopico che stiamo costruendo in questa comunità.


[1] cfr. Manifesto del Terzo Paesaggio di Gilles Clement.

[2]     Resa audace è tratto della poetica di Chandra Livia Candiani. Indica la postura dell’abbandonarsi con grazia alle cose, non per allontanarsi da, ma per immergersi radicalmente negli avvenimenti, senza padroneggiare.


Sbarra e skate: un’oper-azione di Anna Basti

di Matteo Tamborrino

Che cosa accade privando la danza classica dei suoi più vetusti stilemi – il bianco, le sbarre, gli inchini, gli specchi, le punte, il legno, i repertori, i sorrisi forzati? Che cosa succede riversandola negli spazi urbani, plasmandola come uno strumento democratico, in grado di agitare ogni corpo “possibile e immaginabile” (e dunque in sé intrinsecamente poetico)? È da questi e molti altri interrogativi che ha preso avvio allo Skatepark di Parco Dora l’oper-azione di Anna Basti, da intendersi proprio nei termini di un intervento collettivo, o meglio di un allegro som-movimento civico, diretto appunto – in linea con la diffusa sovversione di gerarchie promossa dalla Festa “di” Lavanderia a Vapore – dal basso verso l’alto (e non viceversa). L’artista, diplomata presso la scuola di ballo del Teatro dell’Opera di Roma e attualmente attiva nei territori della danza contemporanea e del teatro fisico, rintraccia nel corpo – per sua stessa ammissione – il perno di una ricerca che considera l’organismo umano quale apparato poroso e complesso, informato e condizionato dal contesto di riferimento in cui si trova a operare. Le classique c’est chic – questo il vezzoso prénom della piattaforma progettuale – è orientata, così come diverse altre creazioni di Basti, alla condivisione immediata di saperi con comunità di “corpi non alfabetizzati nel campo delle tecniche di movimento”. Per un’ora e mezza circa, gli oltre cinquanta convenuti si esercitano in pliés e relevés, acquisendo un’attitude di tutto rispetto (cedendo naturalmente il passo, ove richiesto, all’errore e al riso). Non manca inoltre una buona dose di voyeurismo, complice anche la voce della conduttrice-corifea, veicolata da un microfono degno della miglior tradizione pop (sì, ma in chiave anti-Toxic): a interpretare, infatti, il ruolo di rumorosi spettatori sono gli avventori dello spazio urbano, muniti di skateboard e pattini a rotelle, che scrutano questa degasiana “classe di danza” nelle sue grottesche deformità e delicate bellezze. L’oper-azione si scioglie, allo scoccare del novantesimo minuto, in un cerchio d’orchestra, spazio corale di condivisione e rito di pienezza (d’animo).


Riesci a immaginare una danza collettiva? Compila il form!

un’idea di Kadri Sirel 

Balliamoci sopra

Balliamoci sopra

Benedetta Colasanti su NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok (Appunti, celebrazioni e proteste di un corpo vulnerabile), visto ai Cango di Firenze lo scorso 12 maggio. L’ultima creazione di Daniele Ninarello, nata grazie a fasi di ricerca svolte alla Lavanderia a Vapore di Collegno (in particolare nell’ambito del progetto di innovazione didattica Media Dance), è stata recentemente selezionata per la NID 2023, in programma dal 30 agosto al 2 settembre a Cagliari.


Pavimento bianco, luci piene, una musica elettronica ripetitiva, quasi alienante, un corpo semi-nudo. Così il pubblico viene introdotto senza mezzi termini nella prima delle tre “stanze” di NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok, l’ultimo lavoro di Daniele Ninarello. Sulle sedie della platea di Cango (Cantieri Goldonetta, Firenze), giace una lettera:

Cara spettatrice e Caro spettatore,
Ti ringrazio per essere qui con me oggi.
Questa sera vorrei condividere con te una danza, una denuncia, una protesta. Esisterà solo qui, solo questa volta, solo attraverso questi gesti, solo davanti ai tuoi occhi […].

Ninarello, autore e interprete, è solo in scena. Indossa una camicia, una giacca e dei pantaloncini, rievocando i tempi delle riunioni online dell’epoca pandemica, quando bastava rendere presentabile la metà superiore del nostro corpo. La performance gioca fin da subito col contrasto tra musica sperimentale – spesso percepibile come rumore – e silenzio; in quest’ultimo ogni minimo rumore risuona, amplificato. La coreografia è un climax. Nella “prima stanza” i gesti proposti sembrano essere in bilico tra automatismo e resistenza a quegli stessi gesti, tra il tentativo disperato di comunicare, di esprimere qualcosa, e la difficoltà di farlo apertamente, forse nella paura di non essere capiti. In questo senso la ricerca del contatto visivo col pubblico è concettualmente significativa ed emotivamente forte. Il linguaggio del corpo rimanda anche al rapporto complicato tra burnout, overthinking e horror vacui; tra chiusura e apertura; tra difendersi e schierarsi. La protesta di Ninarello risiede in parte nella rinuncia – nella prima porzione coreografica – a una vera e propria estetica: si opta d’altro canto per una riflessione personale e soggettiva ma di base comune a molti.

La musica sperimentale ed elettronica è la protagonista della “seconda stanza” di NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok. Il prodotto di una chitarra elettrica, “suonata” dal vivo dallo stesso coreografo-danzatore non secondo i canoni, è la colonna sonora di un caos interiore, di un dolore esistenziale che troppo spesso la società tenta di nascondere. Il rumore è stridente, a tratti insopportabile. Intanto il gesto viene progressivamente esasperato, le manifestazioni corporee si fanno più urgenti ed evidenti: la coreografia appare ora come una lotta continua tra mondo esteriore e pensieri. Infine, Ninarello imbraccia la chitarra elettrica, avvicina il microfono alla propria bocca, respira, si schiarisce la voce; suona e canta una canzone orecchiabile: E la luna bussò di Loredana Bertè. È la parte più pop dell’intera performance, ma il successo italiano viene reinterpretato in chiave malinconica e le parole assumono un nuovo significato, un nuovo sapore.

La “terza stanza” è preceduta da una chiamata alle armi o, meglio, alla presenza. Daniele Ninarello si rivolge a ognuno degli spettatori, leggendo i nomi da una lista compilata prima dello spettacolo. Poi la canzone di Bertè si propaga ad alto volume, questa volta nella versione originale, mentre il danzatore esegue l’ultima coreografia, scomposta, articolata, ricca di spunti. È come il ballare degli adolescenti chiusi a chiave nelle loro camerette. L’uscita di scena prima della fine della canzone, permette anche al pubblico di danzare da solo, almeno nella propria mente.

Segue un incontro con l’artista, come di consueto a Cango, coordinato da Pietro Gaglianò. Ninarello espone con sincerità la genesi di NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok: è un lavoro quasi interamente costruito nella sua cucina durante il primo lockdown, un periodo di riposo, di riflessione, di paura, di vulnerabilità collettiva in cui ognuno – in solitudine – ha forse avuto modo di fare i conti con i propri fantasmi. La performance è frutto di un percorso di rimozione del trauma fisico, della necessità di non prendere la posizione di vittima né quella di carnefice, della possibilità di sentirsi sporchi. Infine, emerge la volontà di decolonizzare il corpo, liberandolo da sovrastrutture e pregiudizi: un corpo pieno non ha spazio per l’ascolto. NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok richiama una dimensione del danzare che non è altro che un rituale moderno: poter dimenticare ballando a ritmo di musica è un atto liberatorio al pari del flusso di coscienza. La dichiarazione dell’hic et nunc spettacolare e il coinvolgimento del pubblico sono forse i due elementi che rendono questa performance consapevolmente collocabile nella storia della danza ma anche in un terreno fertile di nuove sperimentazioni e sviluppi.

Benedetta Colasanti


creazione e danza Daniele Ninarello
accompagnamento alla creazione Elena Giannotti
drammaturgia Gaia Clotilde Chernetich
musica Daniele Ninarello
elaborazioni sonore Saverio Lanza
direzione tecnica Eleonora Diana
sguardo esterno Vera Borghini
produzione Codeduomo / Compagnia Daniele Ninarello
coproduzione Oriente Occidente
con il supporto di Fondazione Piemonte dal Vivo/Circuito Regionale Multidisciplinare di Spettacolo dal Vivo, Lavanderia a Vapore/Centro di Residenza per la Danza, Centro per la Scena Contemporanea-Bassano del Grappa e DiR-Dance in Residence Brandenburg, progetto di cooperazione di fabrik moves Potsdam e TanzWERKSTATT Cottbus. Programma creato in cooperazione con Pro Potsdam, Burgerhaus am Schlaatz, fabrik Potsdam e the Brandenburg State Museum of Modern Art | Dieselkraftwerk Cottbus e con il supporto di DIEHL+RITTER/TANZPAKT RECONNECT, fondato da the Federal Government Commissioner for Culture e the Media come parte di NEUSTART KULTUR, the State of Brandenburg, the City of Potsdam e the City of Cottbus.
Realizzato nell’ambito della ricerca sull’innovazione didattica del progetto Media Dance-Lavanderia a Vapore di Collegno.
in collaborazione con Mart-Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Atelier delle Arti Livorno

Ricostruire gli abbracci

Ricostruire gli abbracci

Lo sguardo di Benedetta Colasanti su PERÒ CHIAMAMI_movimenti diversi, visto lo scorso 30 aprile al Teatro Niccolini di San Casciano in Val di Pesa, per il circuito di Fondazione Toscana Spettacolo. L’opera – che coinvolge performer con disabilità – si pone come punto d’arrivo di un viaggio iniziato dall’urgenza di esserci, di rispondere a una chiamata. “Trovarsi e ritrovarsi – si legge nelle note di regia – in un mondo modificato, ma non per questo privo di sogni e case. Un viaggio di ricerca di sé, dei propri spazi e delle proprie aspirazioni”. Sul palco si fondono così in un’unica danza equilibri e solitudini, spazi vuoti e pieni, razionalità e impulsività.


La luce di un film d’animazione proiettato sullo sfondo della scena irrompe nella sala buia del teatro Niccolini di San Casciano Val di Pesa (Firenze); una sagoma procede con andatura decisa in controluce. Nell’ambito della Giornata Internazionale della Danza, va in scena per la prima volta “PERÒ CHIAMAMI_movimenti diversi”, prodotto dalla Compagnia Xe. La melodia e il ritmo della colonna sonora di Little Miss Sunshine ci introducono in un mondo realistico e ordinario, fatto di persone, di peculiarità e di differenze dalla cui interazione nasce qualcosa di sempre nuovo e speciale. Il canone e l’omologazione sono elementi deleteri per la nostra società; imitando la natura, spettacolare poiché variegata, anche l’uomo dovrebbe forse non appiattire le differenze ma esaltarle.

Realizzata all’interno del Laboratorio 2 di “Personae”, progetto di danza inclusiva nel quale la Compagnia Xe si impegna dal 2000, la performance propone un delicato lavoro di incontro, di ricerca sul gesto e sulla voce, di esplorazione dello spazio scenico, di interazione tra biologie per natura dissimili. Sul palco sono presenti tre giovani adulti diversamente abili che agiscono insieme alla coreografa Giulia Ciani e alle assistenti alla coreografia Alessandra Passanisi e Viviana Angelillo.

È proprio la diversità a rendere interessante lo studio sul movimento. Fabrizio Mangani, Luca Muratore Scarpi e Lapo Sieni dimostrano familiarità con la scena, voglia di esibirsi, forte capacità di comunicare messaggi ed emozioni a un pubblico spesso poco attento ma in questo caso sicuramente attratto da ciò che i performers propongono. Camminare, correre, abbracciare, stringere la mano altrui: sono tutti atti che nella nostra quotidianità devono ritrovare la propria ragione di esistere. La camminata e la corsa, ad esempio, sono azioni automatiche; ci rendiamo veramente conto dei nostri percorsi giornalieri? Dei punti di partenza e dei punti di arrivo? Esprimiamo mai gratitudine nei confronti delle nostre gambe e dei nostri piedi che ci permettono di percorrere tanta strada? Gesti come l’abbraccio e la stretta di mano sono diventati talvolta difficili, imbarazzanti, persino superficiali e mendaci. Riscoprire l’importanza di tali contatti è un punto di partenza fondamentale non solo nella ricerca teatrale e di danza sul corpo e sulle relative potenzialità, ma anche per recuperare una socialità perduta o data per scontata. Lo stesso vale per l’uso della voce: il danzatore contemporaneo spesso si riappropria della propria voce, mostrandola a spettatori per secoli abituati a guardare la danza ma non ad ascoltarla. 

L’uomo adulto, a causa di preconcetti e sovrastrutture, tende poi a perdere la spontaneità e la schiettezza che invece contraddistingue ancora i bambini o le persone diversamente abili. Questi ultimi possono probabilmente re-insegnarci la bellezza del roteare su sé stessi o del cercare di afferrare le stelle, tendendo le mani al cielo. In questo senso il lavoro di Ciani, Passanisi e Angelillo – che denota grande consapevolezza richiamando anche elementi fondanti della storia della danza contemporanea come la contact improvisation di Steve Paxton – è particolarmente importante e meritevole. “PERÒ CHIAMAMI_movimenti diversi” è piacevole e degno di nota anche dal mero punto di vista estetico. Si avvale di un ottimo gioco di luci e di ombre, di costumi perfettamente in linea con l’attuale gusto contemporaneo di danza, di spezzati coreografici visivamente attraenti.

Benedetta Colasanti


coreografia Giulia Ciani
assistente alla coreografia Alessandra Passaisi, Viviana Angelillo
in scena Viviana Angelillo, Giulia Ciani, Fabrizio Mangani, Luca Muratore Scarpi, Alessandra Passanisi, Lapo Sieni
costumi Loretta Mugnai
luci Alessandro Ruggiero
proiezioni video tratto da Rooms Francesco Margarolo
organizzazione Lorenza Tosi
assistente Sara Ladu
produzione Compagnia Xe
con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Toscana, Comune San Casciano Val di Pesa
in collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo onlus
con il contributo di Fondazione CR Firenze

Danzare il silenzio, danzare la quotidianità

Danzare il silenzio, danzare la quotidianità

Benedetta Colasanti riporta lo sguardo della classe di Dance History dell’Accademia Europea di Firenze su Op. 22 No. 2 di Alessandro Sciarroni, artista associato del CENTQUATRE – PARIS e della Triennale Milano Teatro 2022-2024. L’opera è nata da un’idea di Emanuele Masi, nell’ambito di “Swans Never Die” , un progetto di rete che nella stagione 2022/’23 ha riunito Lavanderia a Vapore, Operaestate Festival Veneto e CSC – Centro per la Scena Contemporanea Bassano del Grappa, Triennale Milano Teatro, Fondazione Teatro Grande di Brescia, Festival Bolzano Danza – Fondazione Haydn, Gender Bender Festival, “Memory in Motion. Re-Membering Dance History (Mnemedance)” – Università Ca’ Foscari Venezia e DAMS – Università degli Studi di Torino.

Ho attualmente il privilegio e il piacere di insegnare storia della danza presso l’Accademia Europea di Firenze. La mia classe è composta da nove studentesse e danzatrici della Elon University (North Carolina), in visita in Italia per un’esperienza di studio. Quando si tratta di spettacolo, l’atto di posizionarsi “dall’altro lato” della cattedra non può prescindere dalla consapevolezza che la storia del teatro, della danza, della musica, del cinema, non può limitarsi alla lezione frontale. Specialmente parlando di contemporaneo, bisogna riconoscere che la storia si sta ancora scrivendo e che nel capoluogo toscano, a Cango, quella storia è tutt’oggi in divenire. Il festival La Democrazia del Corpo propone, tra le tante cose, Op. 22 No. 2 di Alessandro Sciarroni, uno dei coreografi attualmente più interessanti e più in vista sulla scena contemporanea italiana ed europea. È un’ottima occasione per le studentesse, un valido caso di studio. Propongo loro di andare a vedere lo spettacolo, di portare penna e taccuino. Domenica 12 marzo 2023 attendiamo nella piccola sala di Oltrarno l’inizio della performance; c’è curiosità e aspettativa.

Op. 22 No. 2, interpretata dalla danzatrice Marta Ciappina, è una breve opera strutturata in due tempi: una sequenza coreografica si ripete con variazione. La prima parte è danzata senza l’accompagnamento musicale, o meglio, la musica esiste soltanto nelle orecchie della danzatrice, che indossa degli AirPods.

When she is wearing the earphones, she is completely in her own world, hearing her own thoughts and looking out into the world with only her lens.
Isabella Sessa

Durante la seconda sezione, Ciappina ripete la stessa coreografia, questa volta indossando dei tappi per le orecchie, mentre il pubblico – a sua volta – ascolta la musica. La dicotomia risulta particolarmente interessante per lo studio della danza contemporanea, perché permette di cogliere le sfumature di significato e le differenze estetiche tra l’adozione della musica e la scelta del silenzio.

Audience members could clearly hear the contact between the shots and the floor, which often contradicts today’s desires. The effort of the performance could be heard rather than having an effortless nature. […] The lack of music and strong use of silence was awkward. Silence in my eyes is only a useful element if the movement can stand alone. With the constant use of repetition, the movement did not feel like it could stand alone. The dance became lack luster and predictable.
Gabrielle Cataldo

L’assenza di musica non è in realtà sinonimo di silenzio assoluto. A teatro, fuori dal loro contesto, i rumori quotidiani sono amplificati e diventano quasi imbarazzanti.

I think a big theme is sound. Ciappina wears heeled shoes so the audience can easily hear her walking. […] There were also a lot of sounds produced by the body. During the silent section, I could hear her breathing and the sounds her body made when it came in contact with the floor like when her knee would hit the ground.
Isabelle Mao

Sciarroni veste i suoi danzatori ispirandosi al mondo della moda, collocandoli tuttavia a metà strada tra passato e presente tramite l’adozione di riferimenti a volte chiari e a volte fuorvianti. Marta Ciappina indossa una gonna lunga a quadri, una camicia e scarpe con tacco basso che da una parte simulano semplici passi, dall’altra rimandano a danze profondamente ritmiche come il tip-tap. Sono abiti che richiamano la vita di tutti i giorni, segno del desiderio di vedere sul palco persone “vere”.

I think the piece piece symbolized the noise in everyday life, physically and mentally.
Madeline Trigilio

Marta Ciappina fa il suo ingresso in una scena bianca, abbondantemente illuminata, a richiamare il debutto di Op. 22 No. 2, che aveva avuto luogo in uno spazio illuminato dalla luce del sole. Il coreografo dichiara inoltre di non voler mettere in ombra i suoi danzatori. 

The whole stage was lit the whole time and only occasionally did it fluctuate in brightness.
Maggie Adams

La coreografia si ispira al poema sinfonico del compositore finlandese Jean Sibelius, Tuonelan Joutsen, tratto a sua volta da un mito nordico poco conosciuto. Dopo la performance, Alessandro Sciarroni e Marta Ciappina incontrano il pubblico con la moderazione di Alessandro Iachino; tra le altre cose raccontano la genesi dell’opera. Sciarroni spiega che Op. 22 No. 2 gli è stata commissionata da Emanuele Masi; Ciappina svela che lei stessa ha chiesto a Masi di commissionare a Sciarroni il lavoro, perché desiderava danzare sulla musica di Sibelius e farlo da sola, per motivi terapeutici, per non sentirsi schiacciata da un gruppo di colleghi.

The dancer was visibly looking very hard to execute the movement, and it seemed like there was an intense amount of effort and purpose in the dancing, but then to do all that “for show” and then to take a moment to stop, look at the audience and be like “see what I just did”?
Hannah Burnett

Dopo una relazione artistica duratura, fatta di libertà e di fiducia reciproca, i due mettono in scena il cigno di Tuonela, diverso da quello de Il Lago dei Cigni: si tratta di un animale sacro che un eroe medievale vuole uccidere, senza riuscirsi. Il coreografo aveva già lavorato sulla musica di Sibelius in Folks; è una musica drammatica, grave, che sembra condurre l’artista sull’orlo di un precipizio. Lo spazio di Cango sembra adattarsi perfettamente alle esigenze della pièce.

The piece was performed in an intimate space with a small audience that was seated just up until the edge of the performance space. Along with lighting, this gave the impression that the audience was in the space with the dancer rather than a separate entity observing a piece being performed.
Emma Stenger

Marta Ciappina rivendica la sua posizione di interprete, mentre Sciarroni si descrive come un coreografo che non ha mai studiato danza. Il singolo movimento sciarroniano, portato agli estremi, ripetuto all’infinito, viene qui espanso grazie alla collaborazione con la danzatrice.

Much of the movement was slow and flowy, but then followed by a few sharp and fast movements. There were many moments of stillness that gave the dancer time to breathe, and the audience time to digest the movement.
Madeline Trigilio

Il gesto è evocativo, sembra simboleggiare ora il potere, ora il soccombere; ora l’insegnare, ora l’apprendere; ora l’accoglienza, ora il subire violenza.

There was much repetition in movement, specifically in her arm and torso movements, focus, and fall and recovery from the floor. Choreographically, the movement was a mix of linear/placed movements that were recognizable to classical modern dance, while also less placed movements that felt very human. I appreciated the use of everyday movements that are recognizable across cultural and language barriers.
Jessica Werfel

La danza contemporanea italiana ed europea si contraddistingue per una continua ricerca che supera le “classiche” dinamiche e le ragioni dell’intrattenimento.

The piece was based on delivered a message of a future and past self that had fear for something. While I was unsure of how this was conveyed through the piece, I was able to understand a timeline and the sense of fear.
Haley Asbury

Nel nostro presente Op. 22 No. 2 non può che richiamare la femminilità. L’ascoltare privatamente qualcosa tramite l’uso delle cuffie fa pensare alle imposizioni sociali, a volte invisibili e sottili, eppure talmente influenti da convincere la donna di essere una vittima sacrificale. Al contrario, il privarsi del senso dell’udito tramite i tappi, è simbolo di un isolamento che ha effetti diversi ma altrettanto deleteri.

After watching Sciarroni’s piece, I found that there is more to anything in life. Meaning, here is a dancer that has lavers unseen. There is more than just a dancer standing on the stage in silence. There is more to life than what people can only see.
Isabella Sessa

Benedetta Colasanti


di Alessandro Sciarroni 
con Marta Ciappina
musica Jean Sibelius (Op. 22 No. 2,”Tuonelan joutsen”)
costumi Ettore Lombardi
cura, promozione e sviluppo Lisa Gilardino
produzione esecutiva Chiara Fava
cura tecnica Valeria Foti
commissione Festival Bolzano Danza | Tanz Bozen
produzione MARCHE TEATRO Teatro di Rilevante Interesse Culturale, Corpoceleste_C.C.00#
in coproduzione con Festival Bolzano Danza | Tanz Bozen
con il sostegno di NOI Techpark Südtirol / Alto Adige