Quest’anno la Lavanderia a Vapore mi ha accolto in residenza dal 1 al 9 ottobre, in un momento molto difficile in cui avevo la necessità, insieme al mio gruppo di lavoro, di ultimare alcuni dettagli fondamentali per lo spettacolo “Confinati dal Paradiso” che sarebbe andato in scena al Torinodanza festival dopo pochi giorni. Prima di arrivare a Collegno, erano state cancellate una serie di residenze e di attività per cui la Lavanderia ha rappresentato una casa accogliente che, dopo uno stop di quasi tre mesi, mi ha sostenuto in un periodo complesso. In altre parole, trovare ospitalità in questa struttura bella e funzionale è stato salvifico.
Il focus della mia ricerca sono, da sempre, le convenzioni teatrali, i rapporti di potere tra il pubblico e la fruizione dell’opera d’arte, il superamento di certe forme e strutture nelle quali sono incasellati il teatro e la danza. Tutto questo si traduce in lavori in cui c’è una vicinanza e una commistione fisica con il pubblico. In un periodo storico come questo, in cui non è possibile lo scambio reale con le persone presenti in sala, come è successo con “Confinati dal Paradiso”, ho fatto un passo indietro e sono tornato in un flusso di teatro d’immagine. Questo spettacolo ha fatto pertanto risuonare la complessità e la macchinosità del momento in cui siamo tutti immersi.
Ora sto lavorando a nuovi progetti con il Teatro della Cittadella e la mia riflessione resta aperta: portare il teatro al centro del pensiero critico sulla società contemporanea, superandone le forme. Se oggi il teatro può continuare ad avere una funzione di laboratorio, di osservatorio sul contemporaneo, dobbiamo superarne le forme (mi riferisco alla forma a cui siamo abituati: noi seduti che guardiamo un oggetto di linguaggio, ne interpretiamo il lato simbolico e inscriviamo questo rapporto all’interno di una forma predefinita) e lavorare a progetti che coinvolgano artisti e cittadini nell’immaginare il futuro. E credo inoltre che, nel rispetto delle misure, i corpi debbano continuare a essere considerati degli oggetti politici, degli strumenti di lotta perché in questo frangente la disciplina sui corpi si spiega in tutta la sua potenza, anche al di là della dimensione artistica.
Gli spazi, le residenze e i festival dovrebbero diventare un grande think tank, che mette a sistema le reti che si sono create e che si sono moltiplicate durante il lockdown. Viviamo in una società che ha ridotto il tempo libero in una maniera drastica: pretendiamo che la gente vada a teatro quando, per il troppo lavoro, non ha tempo nemmeno di fare la spesa! Dovremmo analizzare da un punto di vista macro la società nella quale iscriviamo il nostro lavoro: oggi la forma in cui produciamo arte si adatta all’esigenza di un intrattenimento breve ed efficace che non interrompa il flusso di produzione. Nel momento in cui non abbiamo questo tipo di aderenza ideologica, bisognerebbe mettersi ‘a sistema’ per cercare di pensare e immaginare diversamente il presente.
Marco Chenevier, coreografo, danzatore, regista e attore