THE DREAM OF A TIGER

THE DREAM OF A TIGER

The following is an assemblage of traces from the social dreaming practice led by Edoardo Mozzanega and Chiara Prodi, artists in residency at Lavanderia a Vapore in September 2023 with the project Dream of a Tiger.

Social dreaming dates back to the 1980s when it was developed as a method of sharing dreams in social environments. Mozzanega and Prodi introduced an expanded version of the practice, inviting the participants to share stories, dreams and rumours in the present tense and first person, and with that, shaping a collective dream matrix of imagining, listening and resting with the theme:

I ONCE KILLED AN ANIMAL

I ONCE FEARED TO BE KILLED BY AN ANIMAL

The following collages are composed of some recurring images from the collective dreaming. They take the contrast between the dreamy and the morbid as a starting point, visualizing a similarity between the tradition of how we culturally tell stories and how we regard animals. The text is underlined fragments from Ursula le Guin’s „My Carrier Bag Theory of Fiction“ that the artists had with them in the studio. It describes the function of an arrowlike narrative… a story arc as linear as the spear that killed the mammoth...

Dreaming documented by Kadri Sirel

CANCAN

CANCAN

The dark emancipatory motion of the cancan, a dance that originated in Paris in the 1800s, is reimagined without euphoria or climax, but proposed as a deconstructed landscape that loops its pieces into exhausted reiterations without a stop or an exit. Loose memory but automated bodies, internalised voyeurism, pessimistic repetition of leg, arm and ass movements. The dancers are keeping their heads down.

Inspired by Fabritia D’Intino’s residency with CANCAN and the shared training workshop based on the work, these traces collected from the studio build upon the Cancan as an entrapping system that perpetuates sexualizing dancers’ bodies, ending in a pessimistic loop that numbs the discoursive capacity of deconstruction to develop possible alternative scenarios. Fabritia’s process introduced the question, how long does re-organizing the same alphabet satisfy one’s illusion of freedom? How does one exit the Cancan?

Here are some balloons I picked up from the studio that help me wonder just that…

By Kadri Sirel

WOW, PSEUDO-DIAGRAMS!

WOW, PSEUDO-DIAGRAMS!

Starting from the action of falling that answers to gravity and weight, the following is a disentanglement of falling from its connotations to a quality of extreme seriousness, such as a rapid decrease of parameters, indicators and values. It proposes falling as a subversion of verticality and the emergence of possible (dis)orientations.

Some of the documents collected here are from the projects
ORO,
Evening School on Care, Sport
and CANCAN.

TABULA RASA: Accadere nella domanda

TABULA RASA: Accadere nella domanda

di Eugenia Coscarella*
partecipante a Tabula Rasa: ricerca aperta | sharing
di e con Doriana Crema
4 ottobre 2022

Arrivo. Arriviamo.
Il silenzio è pieno e le sedie vuote.
Tutto è già lì, segnato, nel vuoto,
pronto ad accadere.
Allora accadiamo.

Io sono accaduta qui.
Vicino a te, lontano, altrove.
Nello spazio vuoto, tra buio e luce, noi siamo.
E altrove qualcuno ci ha già raccontato.

Ascolta “Il viaggio del testimone” su Spreaker.

Ti saluto, abbi cura dello spazio vuoto.

Podcast: parole e voce di Elena Pugliese, artista del TRA, tratto da Il viaggio del testimone, restituzione degli sharing di Tabula Rasa.

* la modalità di lavoro messa in gioco attinge a una ricerca avviata nel 2019, insieme al poeta Massimiliano Bardotti, relativa al dialogo tra danza e poesia e alle modalità di emersione della parola dal corpo, a partire da un macro-tema di ispirazione.




Kadri Sirel: un nuovo sguardo sulla documentazione dei processi artistici

Kadri Sirel: un nuovo sguardo sulla documentazione dei processi artistici

Kadri Sirel è una coreografa e performer estone, i cui progetti affrontano per lo più il tema della produzione, in prospettiva site-specific. Tramite il corpo danzante, Kadri indaga la tensione tra desideri individuali e sociali. I suoi metodi includono improvvisazione e pratiche somatiche, documentazione e co-creazione. Ha svolto i propri studi presso il Dipartimento di arti coreografiche della Viljandi Culture Academy (EST), conseguendo un master alla Home of Performance Practices presso l’ArtEZ University of Arts (NL). Nel gennaio 2023 approda alla Lavanderia a Vapore di Collegno per un internship.

ph. Ave Palm

Arrivare in Lavanderia è stato un po’ come sentirsi “lost in translation”. Battute a parte, l’ho trovata fin da subito una realtà accogliente, porosa, in cui dedicarmi – fra mille stimoli – al mio lavoro di documentazione. Sono anche coreografa e danzatrice: ed è stata appunto questa la mia chiave d’accesso alla documentazione. Torino la conosco da tempo: venni qui per la prima volta nel 2016 per partecipare ai laboratori della Nuova Officina della Danza, programma di formazione che in parte si era svolto anche in Lavanderia. Ho visto peraltro molti spettacoli qui. Insomma, quando è iniziato il mio tirocinio, la Casa della Danza mi era già piuttosto nota. Ne conoscevo le radici, il passato di antico ospedale psichiatrico, una storia mai taciuta e anzi raccontata con trasparenza, nel passaggio da luogo di coercizione a spazio di libera creazione.

Venendo a parlare del mio approccio alla documentazione, non so dire se sia diverso o in qualche modo interessante. Sicuramente il punto di partenza era non sapere minimamente di che cosa si trattasse, non avendola mai praticata prima. Mi ci sono avvicinata da amatrice, da dilettante. Come ho detto prima, lavorare nella danza è stato il motivo per cui ho scelto di aprirmi alla documentazione: era qualcosa di automatico, di collegato al tentativo di dischiudere ciò che la danza può essere e diventare. Quindi il modo in cui “documento” intrattiene una sorta di relazione con tale assunto: documentazione e danza possono intrecciarsi, incontrarsi, al di là delle consuetudini?

Nel corso di questi mesi ho seguito numerose residenze e diversi processi artistici in atto, accostandomi pertanto a stadi ancora altamente vulnerabili della creazione coreografica. Non ho documentato prodotti, per così dire, finiti, in primis per mancanza di interesse nei confronti di questo tipo di formati. Preferisco osservare il modo in cui si genera la comunicazione in sala prove, nella relazione tra autore e performer. Guardare come le idee si nutrono ed esprimono. Senza sapere che cosa rimarrà e che cosa invece andrà perduto. Penso sia proprio questa la parte stimolante del mio ruolo di “documentatrice”.

Che strano titolo, poi… ha l’aria di essere così ufficiale. Io, semplicemente, osservo: porto il mio taccuino, il mio smartphone, una penna e prendo appunti (disegnando, scrivendo nelle Note del cellulare…). Vado naturalmente in sala prove quanto più mi è possibile, a seconda dello sviluppo di ciascun singolo processo. Lasciata la sala, di norma do avvio a una fase di ricerca su differenti materiali, mettendo a frutto le note collezionate. Le riciclo e le riscrivo su fogli di carta artigianali. È una sorta di trasmutazione di codice. Qualcosa che pertiene a uno specifico momento nel tempo: sì, perché la documentazione si collega anche alla nozione di ricordo, oltre che alla visione di un processo. Trasformo perciò gli appunti originari in qualcosa di diverso, tanto da rendere queste tracce iniziali pressoché indecifrabili, irriconoscibili. Spesso non si tratta tanto di fermarsi a quanto ho annotato, ma a ciò che quel materiale è diventato, tramite vari filtri. È dunque un processo articolato in due momenti susseguenti: potrei parlare di originale e post-produzione, di prototesto e opera.

Mi è capitato per esempio, con il lavoro di Flavia Zaganelli, di stampare testi su materiali organici come foglie e piante. Torna sempre, infatti, il richiamo a una certa tattilità. Penso che più che ispirarmi (il che implicherebbe il pervenire a un esito completamente diverso), questi lavori mia diano il la per una sorta di traduzione, nel senso etimologico del termine. Forse anche riscrittura, rimaneggiamento, è una metafora che funziona, perché non nego mai la mia posizione nell’atto di documentazione: non cerco di renderlo oggettivo, ma lascio emergere corpo e voce. Dalla residenza di Daniele Ninarello ho fatto germinare delle poesie; interessante anche il caso di The present is not enough di Caleo/Calderoni, che esplorava il punto di vista di due donne lesbiche in merito alla pratica (prettamente maschile) del battuage nella New York degli anni Settanta. Ecco, lì ho fatto due passi indietro, chiedendomi come una donna estone potesse relazionarsi con il punto di vista di due donne lesbiche sul tema. Cerco insomma di bilanciare la parte che riguarda me con ciò che vedo: non voglio parlare di me, bensì dell’effetto che la performance provoca, suscita, induce nello spettatore. Sei seduto in uno spazio e ti domandi perché sei legato a ciò che hai di fronte, nel qui e nell’ora. Che cosa risveglia in te? È una postura, un’azione di posizionamento.

Uno degli obiettivi è stato anche condividere con gli artisti questi miei lavori, fare in modo che i documenti realizzati non rimanessero lì a prender polvere. Li ho sempre intesi come uno strumento di dialogo, un modo diverso di comunicare, per offrire non tanto un feedback quanto una prospettiva di ricezione. A dire il vero non ho ancora ricevuto molti riscontri in merito, ma credo dipenda dal fatto che quanto propongo è “intenso” e serve dunque del tempo per processarlo. Di conseguenza, la non-risposta non implica per forza una reazione negativa.


The present is not enough

Anahit

electrica /ecosi’stɛma/

Orgia / Healing together