


Istituzioni e pratiche di rilevanza
In questi mesi di necessaria trasformazione delle proprie pratiche culturali, la Fondazione Piemonte dal Vivo ha deciso di intraprendere ulteriori direzioni di ricerca prospettiche, non solo verso nuovi pubblici, ma anche verso altri linguaggi e luoghi d’arte per immaginare nuove possibilità, nuove modalità di intendere il Circuito, i progetti, i dispositivi che la abitano e la attraversano. La scelta si è orientata verso il linguaggio delle arti visive, i luoghi che sostengono la creazione e la produzione, la fruizione dei suoi prodotti e processi. L’intento è stato quello di avviare una direzione di ricerca per apprendere e comprendere quali siano le possibilità creative di un dialogo strategico con un’altra disciplina artistica, come funzionino i contesti di creazione e di accoglienza delle progettualità artistiche in questo ambito, quali narrazioni siano portate al suo interno, quanto siano accoglienti e disponibili i contesti di fruizione dell’arte visiva, quali siano le abitudini, le aspettative del suo pubblico, quali valori e quali relazioni generative esistano all’interno di questo circuito.
Il punto di vista che ha assunto la Fondazione Piemonte dal Vivo per intraprendere questa ricerca è quello della residenza, forte dell’esperienza e delle suggestioni maturate in questi anni alla Lavanderia a Vapore. Dispositivo complesso capace di aprirsi verso altri linguaggi senza perdere di vista la ricerca di nuovi pubblici. Luogo di incontro in cui l’artista può incontrare l’altro (operatore o pubblico) e viceversa, condividere con lui un tempo non necessariamente finalizzato, riconoscere in una parola un senso comune e viceversa interpretazioni diverse della stessa parola, immaginare e fare insieme nuove pratiche artistiche e culturali. In questo movimento verso l’altro, verso ciò che non si conosce esiste un processo di rinnovamento dei linguaggi fortemente generativo per uno specifico settore.
L’approccio di sviluppo della ricerca si è orientato verso la scelta di un centro di residenza nell’ambito delle arti visive, nell’intento mettere a fuoco alcuni interrogativi che nascono dall’esperienza di dialogo con un’altra istituzione e dall’esperienza di dialogo tra artisti di diverse discipline per provare a capire se sia lecito immaginare luoghi dedicati alla creazione contemporanea oltre i confini disciplinari, dove i progetti artistici possano essere accolti e sostenuti da un unico circuito interconnesso.
Con queste premesse, nel febbraio 2020, è cominciato un graduale processo di avvicinamento e di dialogo con una delle realtà più interessanti nel panorama piemontese della creazione artistica contemporanea: Cittadellarte – Fondazione Pistoletto di Biella, la prima residenza artistica in Piemonte e forse in Italia (1998). La realtà nasce dalla visione dell’artista Michelangelo Pistoletto che nel 1994 presenta il Manifesto Progetto Arte, ideato contestualmente al suo insegnamento all’Accademia delle Belle Arti di Vienna (1991-1999) dove imposta con i suoi studenti un programma innovativo rivolto ad abbattere le tradizionali barriere tra diverse discipline artistiche. Il nucleo di tale progetto è sintetizzabile con le parole di Pistoletto: “Progetto Arte si fonda sull’idea che l’arte è l’espressione più sensibile e integrale del pensiero ed è tempo che l’artista prenda su di sé la responsabilità di porre in comunicazione ogni altra attività umana, dall’economia alla politica, dalla scienza alla religione, dall’educazione al comportamento, in breve tutte le istanze del tessuto sociale.”
Il dispositivo delle residenze della Fondazione Pistoletto, UNIDEE residency programs, nasce nel 1999 con la prima OPEN call internazionale e nel tempo ha assunto un livello di articolazione importante e ispirante per chi opera nello spettacolo dal vivo. Abbiamo chiesto a Juan Sandoval, Direttore di UNIDEE residency programs di Cittadellarte di raccontarci il programma nel 2021 dopo più di 20 anni di esperienza.
Il punto di vista di Juan Sandoval è strategico rispetto all’indagine della Fondazione Piemonte dal Vivo, perché artista che opera all’interno di una istituzione e perché testimone e attore del processo di sviluppo di questo sistema di residenze: “Penso che Michelangelo sia stato tra i primi a immaginare il dispositivo delle residenze e ad aprire le porte di Cittadellarte agli artisti (1998), non solo visivi, in quegli anni era presente la compagnia Stalker e spesso organizzavano programmi insieme, il teatro è sempre stato molto importante per Michelangelo.”
Negli anni UNIDEE è cresciuto e nel 2013 si è trasformato in un programma più articolato che distingue le residenze secondo tre tipologie differenti: moduli UNIDEE, di ricerca, connettiva. Ciascuna funziona secondo fini, spazi e attraversamenti diversi, tutte si sviluppano in relazione ad un contesto internazionale.
I moduli UNIDEE sono moduli residenziali intensivi di una settimana aperti a studenti, professionisti e attivisti, nonché ai membri della società in generale. Sono tenuti da tutor con il supporto di ospiti, per gruppi di 10-12 partecipanti. I moduli sono sviluppati secondo un metodo di insegnamento orizzontale, basato sulla discussione collettiva e sullo scambio di conoscenze.
Le Residenze di ricerca sono residenze per artisti internazionali organizzate con istituzioni partner, create per supportare la pratica di artisti emergenti. Durante la loro permanenza a Cittadellarte, gli artisti sono guidati lungo un percorso basato sull’indagine di aspetti specifici legati a una trasformazione socialmente responsabile, attraverso dibattiti e incontri con curatori, artisti e operatori della società civile, studio visit di esperti, conferenze con ospiti, visite a mostre e luoghi attinenti ai temi esaminati, ecc. In termini di produzione, le residenze mirano a facilitare la generazione di progetti espositivi, eventi, dibattiti pubblici, pubblicazioni, ecc.
La Residenza connettiva, attiva dal 2015, è un programma semestrale aperto a singoli artisti o collettivi italiani e internazionali interessati ad approfondire e analizzare i temi della trasformazione sociale responsabile, selezionati su invito. L’obiettivo è stabilire connessioni attive tra le pratiche degli artisti residenti e i contenuti esaminati all’interno dei Moduli UNIDEE.
Le premesse artistiche che hanno portato a riconoscere e attivare questo dispositivo, il grado di sviluppo e di articolazione che la formula della residenza ha assunto è certamente molto interessante per il settore dello spettacolo dal vivo poiché apre diverse riflessioni: rispetto al ruolo dell’artista nei processi di trasformazione, intorno alle tipologie, alle finalità, alle modalità di gestione delle residenze sviluppate fino ad ora e alla possibilità di svilupparne delle nuove e ci interpella sul livello di strutturazione del programma di residenza (finalità, approcci, logiche di sviluppo comuni).
Il dialogo e la reciproca conoscenza tra le due Fondazioni ha preso forma grazie al festival Fluviale. Arte, ambiente e ricerca sociale dell’Associazione Better Places/Spazio Hydro, progetto curatoriale che prevede azioni performative multidisciplinari lungo il fiume Cervo e propone temi di riflessione rilevanti sull’ecologia, sul rapporto con l’ambiente e sulle relazioni tra umano e non umano per risignificare la relazione tra gli abitanti e il fiume, proporre nuove esperienze partecipative capaci di aprire nuovi punti di osservazione del fiume e delle sue specificità per dare forma a nuovi immaginari e voce a nuove narrazioni.
In relazione ai temi e al contesto di ricerca di Fluviale, è stato selezionato Matteo Marchesi, danzatore, coreografo, vincitore dell’azione Collaboraction Kids della Rete Anticorpi XL e Artista Associato Zebra, per condividere un periodo di residenza a Cittadellarte con Annalisa Zegna, artista biellese e co-curatrice del progetto Fluviale.
La residenza si è strutturata secondo un processo articolato in tre momenti e fasi distinte. La prima è stata l’esplorazione individuale di Matteo Marchesi, accompagnato nelle pratiche fisiche e poetiche dalla mentore Federica Tardito, clown e artista della danza. La seconda, come accennato, è stata la co-conduzione di Corpi in Piena, un percorso di ricerca e sperimentazione sulle arti performative aperto ad adolescenti tra i 15 e i 19 anni. Il terzo e ultimo momento chiave sarà la condivisione dell’outcome del processo di ricerca all’interno dei luoghi e delle giornate dedicate alla 23° edizione di Arte al Centro.
Per riconoscere il potenziale di questa esperienza di residenza abbiamo chiesto ad Annalisa Zegna e Matteo Marchesi di aiutarci a mettere a fuoco gli elementi di complessità che hanno rilevato nel corso della loro residenza e gli strumenti comuni come specifici che hanno adottato per gestirla.
Le premesse di incontro e di dialogo tra i due artisti effettivamente portavano diversi elementi di complessità: l’appartenenza a discipline diverse, e quindi abitudini, pratiche, tempistiche di creazione diverse, il coinvolgimento di un soggetto terzo non professionista (gli adolescenti), lo sviluppo di una pratica artistica in un luogo all’aperto, ai più non familiare, non protetto, un approccio di sviluppo della pratica basata su di un dialogo orizzontale tra gli attori.
Il primo passo che hanno intrapreso per gestirla è stato avviare un confronto partendo dai contenuti. La narrazione dei luoghi e dei personaggi mitologici del fiume Cervo, gli spunti narrativi e figurativi degli artisti li hanno aiutati ad immaginare e poi creare le condizioni di uno specifico spazio di ricerca: il fiume Cervo. Ciascuno ha contribuito alla definizione di questo spazio secondo la propria sensibilità.
Annalisa Zegna portando l’attenzione rispetto a “come ciascun partecipante reagisca e trovi una propria modalità per leggere e stabilire una relazione con ciò che sta vivendo: con i materiali che offre il contesto, la relazione con gli altri soggetti coinvolti”. Matteo Marchesi rispetto a come ogni partecipante esplora il proprio corpo in un “territorio non organizzato in maniera esplicita per stare in ascolto di una immaginazione, intuizione”. Invitandolo ad agire. Invitandolo a riflettere su come lui gestisca questo spazio di libertà.
Grazie ad una postura di ascolto reciproco, gli artisti hanno trovato un loro modo di risolvere questa complessità, riconoscendo alcuni elementi metodologici (simili e complementari) e condividendo alcune domande di ricerca.
Il gioco, elemento metodologico simile, per esplorare e osservare il contesto, come strumento di apertura per attivare una relazione tra le persone e con l’ambiente e di sé in relazione al proprio corpo.
La possibilità di attraversare in maniera diversa lo spazio di ricerca, elemento metodologico complementare, ben riassunto da queste due domande: “come si apre uno spazio generativo rispetto all’immaginario?(Annalisa Zegna)” e “quali sono le condizioni che autorizzano il singolo ad esplorarlo ad immergersi”a “darsi il permesso di…”( Matteo Marchesi) viverlo.
La possibilità di essere orientati da domande di ricerca condivise: “Come identifichiamo il potere, quali forme abbiamo necessità di generare per farne una narrazione? Come emerge attraverso il corpo e come possiamo costruire una narrazione di questi corpi? Di cosa si compone uno spazio libero, dove sia legittimato il potere di ciascuno, senza che si possa far male a se stessi o ad altri?”
Dai modelli di residenza, agli elementi metodologici simili e complementari tra i due linguaggi di creazione artistica, alle narrazioni sui temi del contemporaneo, gli outcome di questa direzione di ricerca intrapresa dalla Fondazione Piemonte dal Vivo sono molteplici e evidenti. Viene lecito domandarsi se questo risultato sia riferibile alla specificità e al valore di questa esperienza o alla modalità di reinterpretare il proprio operato. Leggere il proprio fare, il proprio operare secondo un altro punto di vista: un altro linguaggio, un altro contesto socio-culturale, un altro contesto geografico può aiutare un’organizzazione a leggere meglio i bisogni o a esplicitare il potenziale del proprio contesto di riferimento?
Mara Loro, Research curator consulente per l’innovazione e la ricerca della Fondazione Piemonte dal Vivo

DanzArTe: interpretare l’arte come strumento di prevenzione nella terza età
Gli anziani fragili devono muoversi il più possibile. Al contrario di un oggetto o una struttura ‘fragile’, da custodire con cura e il più possibile ‘immobile’, con l’invecchiamento l’essere umano ha bisogno di mantenersi ‘in movimento’, sia dal punto di vista motorio che cognitivo, per prevenire ed eventualmente curare la fragilità.
Questo è solo uno dei molti paradossi associati all’invecchiamento.
Cos’è la fragilità?
La fragilità è una condizione clinica in cui c’è un aumento della vulnerabilità con una riduzione delle autonomie personali e un aumentato rischio di eventi avversi (ospedalizzazione, istituzionalizzazione e anche mortalità) quando si è esposti ad un fattore di stress. Essa può verificarsi come risultato di una serie di modifiche biologiche e funzionali dell’organismo ed è modulata dalle malattie e disabilità e dalle conseguenze psico-emotive cui la persona anziana può andare incontro con l’avanzare dell’età.
Lo sviluppo di un concetto di fragilità multidimensionale, cioè che consideri la persona anziana come l’esito di una integrazione dinamica dei diversi domini o dimensioni (funzionale, cognitiva, biologica, clinica, psico-sociale, ecc.), è determinante per poter assistere ad un cambiamento culturale in ambito sanitario che sposti l’attenzione da un approccio all’ anziano centrato fondamentalmente sulla singola malattia o sull’organo malfunzionante verso una visione della salute quale stato di benessere focalizzato sulla qualità di vita.
Per questo motivo, lo studio delle caratteristiche fisiopatologiche della fragilità è un argomento fondamentale della ricerca gerontologica degli ultimi anni in quanto utile nella valutazione delle decisioni cliniche da prendere nell’anziano, spesso difficili in un contesto in cui la linea tra accanimento diagnostico-terapeutico e astensionismo è spesso sfumata e fonte di considerazioni in cui scienza ed etica si confrontano necessariamente con opinioni e preferenze personali.
Un altro aspetto da considerare è la fragilità psico-sociale che è emersa prepotentemente durante la pandemia COVID-19: isolamento e solitudine dell’anziano, infatti, hanno conseguenze non solo pratiche, quali quelle legate alla difficoltà di gestione delle vicende domestiche, ma anche sanitarie come dimostrato dall’aumento dei disturbi del sonno, ansia e depressione ma anche delle malattie croniche, inclusi i tumori, riportato negli studi epidemiologici più recenti. La fragilità si previene e si cura attraverso l’esercizio fisico, una alimentazione corretta e sana e lo sviluppo di una vita sociale il più possibile attiva; tutti percorsi praticabili con grande difficoltà nel periodo pandemico.
Il progetto DanzArTe
All’interno del progetto DanzArTe, i partner dell’E.O. Ospedali Galliera di Genova sono incaricati proprio di sviluppare l’approccio multidimensionale all’anziano per identificare i soggetti a rischio di fragilità proponendo un intervento di prevenzione multimodale.
Se l’anziano fragile ha bisogno di muoversi, è infatti fondamentale il modo in cui questo movimento viene svolto: è importante che il movimento sia fatto insieme, in un contesto sociale di relazione e rapporto con gli altri, e che preveda una contestuale stimolazione sensoriale (vista e udito) e cognitiva che dia un senso compiuto e finalizzato al movimento.
Il programma DanzArTe prova a rispondere a questa esigenza spostando l’attenzione dal piano delle condizioni contingenti, di qualunque natura siano, al piano della memoria del corpo. Il progetto mira, infatti, a validare scientificamente un protocollo di attivazione motoria e cognitiva per anziani fragili o a rischio fragilità, basato sulla manipolazione in tempo reale – attraverso il movimento, di opere d’arte guidata dalla sonificazione. La sonificazione è un ramo dell’informatica musicale che si occupa di utilizzare il suono per comunicare informazioni. Nel contesto di nostro interesse, le sonificazioni create per DanzArTe hanno lo scopo di aiutare i partecipanti all’esperienza ad identificare le qualità dei loro movimenti, ad esempio quanto sono “fluidi”, “frammentati” o “pesanti”.
Dal punto di vista della ricerca scientifica la proposta di DanzArTe nasce da un consorzio interdisciplinare di partner, nonché da una lunga esperienza nata da progetti nazionali ed europei (come Horizon 2020). Un punto di vista, dunque, interdisciplinare che punta ad unire le prospettive cliniche sulla fragilità e sulla capacità di riconoscerne indicatori sensibili, con quelle tecnologiche, per l’elaborazione automatica di sistemi in grado di definire le qualità dei movimenti prodotti e creare adeguati modelli di sonificazione, che possano essere un valido supporto all’esperienza degli utenti. Inoltre vengono incluse nel programma le prospettive performative, dove l’esperienza coreografica si declina nella capacità di mettere in relazione le qualità ed i contenuti affettivi del gesto ed infine la prospettiva museale, in cui si riprogettano e si immaginano nuovi modi di fruire il contenuto culturale.
Dal punto di vista clinico, l’esperienza dei laboratori di DanzArTe rappresenta anche un interessante strumento di valutazione precoce degli indicatori di fragilità, offrendo la possibilità di monitorare il movimento di persone pre-fragili e rilevare indizi anche minimali di potenziale rischio, in un contesto informale (e piacevole innanzitutto), e vicino alla vita quotidiana (più “ecologico”, usando una terminologia tecnica) rispetto alla visita ambulatoriale. Nel periodo che stiamo vivendo, inoltre, in cui la pandemia da Covid-19 ha drasticamente cambiato la vita sociale dell’intera popolazione ed in particolare di quella anziana, isolandola, questi laboratori si configurano anche come un utile strumento di contatto per i soggetti anziani a rischio di fragilità con il mondo esterno.
La valutazione della fragilità nei partecipanti ai laboratori di DanzArTe?
Nella fase pilota del progetto, ci si rivolgerà ad anziani residenti in RSA del territorio genovese e torinese, per una serie di laboratori di 4 sedute (di 45-60 minuti), rivolte ad un gruppo di 4-5 utenti. In tutti i soggetti inclusi nel programma, la condizione di fragilità viene misurata con il Multidimensional Prognostic Index (MPI). Si tratta di un indice multidimensionale, che attraverso la valutazione di 8 domini che includono le abilità basali e strumentali della vita quotidiana, le capacità motorie, lo stato nutritivo, lo stato cognitivo, il numero di patologie croniche e di farmaci assunti, e lo stato co-abitativo, permette di calcolare il rischio di fragilità del soggetto che viene espresso con un indice numerico che va da 0 (rischio minimo) a 1 (rischio massimo). Questo indice, ampiamente usato in ambito scientifico e clinico, viene calcolato al momento dell’inclusione dei soggetti in DanzArTe, e successivamente 1 e 3 mesi dopo lo svolgimento dei laboratori, utilizzando la versione telefonica dell’MPI, il TELE-MPI. Parallelamente al calcolo del rischio di fragilità, i soggetti che parteciperanno a DanzArte verranno sottoposti ad una valutazione funzionale, per misurare la forza e la qualità della camminata, ed una valutazione clinica dei parametri vitali. Infine, l’esperienza complessiva del progetto verrà valutata attraverso un questionario di soddisfazione a cui i partecipanti dovranno rispondere a fine esperienza, ed una valutazione della percezione fisica ed emotiva dell’anziano attraverso il questionario Qualità di Vita (QoL). L’approccio multidimensionale e multidisciplinare alla valutazione della fragilità dei soggetti inclusi nel programma, nell’arco del breve-medio periodo, e della loro soddisfazione rispetto alla partecipazione all’esperienza e al loro stesso stato psico-fisico, garantisce di comprendere l’efficacia e la bontà di una generalizzazione dell’esperienza di DanzArTe per una sua auspicabile diffusione sul territorio. Dopo una prima fase di studio nel contesto “protetto” delle RSA, infatti, una seconda fase vedrà riprodotta l’esperienza in un contesto di “comunità”, all’interno degli spazi delle Lavanderie a Vapore, di Collegno così come degli spazi museali dei Musei Diocesani sul territorio. In questo modo, entro la fine del progetto (biennale), la nostra idea è quella di poter creare un vero e proprio “format” esportabile al di fuori delle realtà coinvolte direttamente nel progetto.
Riscoprire dunque se stessi, attraverso l’arte, con la trasformazione della propria persona in materiale sonoro, in un gioco del memory per il corpo e la mente, da condurre in una sorta di gioco di gruppo, come forma di attivazione e benessere per l’anziano a rischio di fragilità. Questo l’obiettivo che vede riuniti i clinici dell’Ente Ospedaliero Galliera di Genova e gli ingegneri esperti in tecnologie della sensibilità di Casa Paganini – InfoMus, laboratorio di Ingegneria Informatica dell’Università di Genova.
Erica Volta, Alberto Pilotto, Dipartimento di Cure Geriatriche, Ortogeriatria e Riabilitazione, E.O. Ospedali Galliera, Genova


Il progetto #oltrelacittà: verso una cultura della partecipazione attiva
Le tendenze, i bisogni e i desideri del pubblico si stanno sempre più decisamente orientando verso la partecipazione attiva, con progetti che hanno recepito questa sensibilità nel campo dello spettacolo dal vivo e delle arti in genere, in un’ottica di welfare culturale, “un nuovo modello integrato di promozione del benessere e della salute e degli individui e delle comunità, attraverso pratiche fondate sulle arti visive, performative e sul patrimonio culturale” (Annalisa Cicerchia, Che cosa muove la cultura, Editrice Bibliografica, Milano, 2021, p. 215).
Gli obiettivi possono essere diversi:
# riqualificazione territoriale e rigenerazione urbana;
# attivazione della cittadinanza e partecipazione attiva;
# formazione e integrazione sociale a base culturale;
# progettazione partecipata;
# promozione della salute;
# servizi culturali in contesti periferici.
Sono iniziative che hanno coinvolto grandi città e aree interne, vecchi e nuovi presidi culturali, festival residenze e progetti. Stanno rinnovando le pratiche culturali e forse l’idea stessa di cultura: non più soltanto una nobile attività dello spirito e della mente, ma un processo che coinvolge i cittadini e gli spazi in cui vivono.
Come Ateatro e con il progetto Le buone pratiche del teatro, da vent’anni seguiamo l’evoluzione e l’ascesa irresistibile del rapporto fra teatro, promozione sociale, partecipazione. Tra il 2004 e il 2014, per il saggio Le Buone Pratiche del teatro (FrancoAngeli, Milano, 2014), abbiamo censito oltre 140 esperienze e molte di esse si muovevano in questa direzione.
Successivamente abbiamo dedicato diversi appuntamenti al teatro sociale e ai progetti partecipativi. Di recente, nella collana ‘Lo Spettacolo dal Vivo’ che seguiamo per Franco Angeli abbiamo ospitato il libro a cura di Claudio Bernardi e Giulia Innocenti Malini Performing the social. Education, Care and Social Inclusion through Theatre.
Abbiamo identificato in questo fenomeno uno degli aspetti più rilevanti nella ricerca artistica contemporanea, che ha interessanti ricadute anche sul versante della sperimentazione sociale ed è in grado di creare incontri molto fertili tra professionalità diverse e di dare al teatro motivazioni nuove e rinnovare quelle antiche e profonde.
L’estate del 2021 ha visto la faticosa ripresa delle attività culturali in presenza, soprattutto con eventi all’aperto. La riconquista dello spazio pubblico e di una socialità condivisa, la ripresa del confronto e del dibattito in presenza, sono il presupposto per superare il “confinamento domestico” della pandemia, che ha privilegiato i consumi culturali individuali, collegati alle piattaforme di streaming audio e video e ai social network.
La cultura, in particolare con la progettazione partecipata, ha un ruolo propulsivo nella creazione di capabilities (capacitazioni) e di cittadinanza attiva. Dispositivi come i nuovi spazi culturali, le residenze e i festival, con la loro socialità e l’enfasi sulla dimensione fisica, corporea, oltre che con il rapporto con i territori, offrono strumenti insieme pratici e simbolici per innescare i processi di innovazione e coesione sociale.
L’azione #oltrelacittà costituisce un’occasione ulteriore di riflessione su queste pratiche di partecipazione «ai tempi della pandemia» e vuole indagare questo fenomeno in un’ottica di promozione, studio e divulgazione. La tappa di Torino e Collegno, Riqualificazione e partecipazione: metodi, pratiche e prospettive, a cura di Stefania Minciullo e Giulio Stumpo con la collaborazione di Alessandra Rossi Ghiglione e Filippo Tantillo, vuole riflettere sul rapporto tra progettualità e sostenibilità, per impostare le basi di una politica culturale che sappia accogliere, promuovere e valorizzare le realtà che operano in questa direzione.
Nella prima giornata, nel pomeriggio di domenica 17 ottobre allo Spazio BAC, verranno presentati e discussi i risultati dell’analisi comparativa condotta in questi mesi su alcune tra le realtà più interessanti del settore da un gruppo di lavoro guidato da Giulio Stumpo, Stefania Minciullo e tre giovani Under 28 che hanno intrapreso un percorso formativo con l’associazione.
Le realtà che hanno preso parte allo studio e che saranno presenti a Torino sono:
● Centro IAC (Matera)
● Civico Trame (Lamezia Terme)
● Collettivo Amigdala (Modena)
● Industria scenica (Vimodrone)
● Lavanderia a Vapore (Torino)
● Melting Pro (Roma)
● Minima Theatralia (Milano)
● Teatro Biblioteca Quarticciolo (Roma)
● Teatro Povero di Monticchiello
● Tib Teatro (Belluno)
I risultati di questo incontro forniranno lo spunto per la discussione del 18 ottobre, presso la Lavanderia a Vapore. Operatori e curatori di nuovi spazi e nuovi progetti, docenti, amministratori, studiosi e critici, cercheranno di delineare le condizioni necessarie per una efficace politica culturale della partecipazione.
Hanno assicurato la loro partecipazione, tra gli altri: Sandra Aloia, Giorgio Andriani e Antonino Pirillo, Micaela Casalboni, Patrizia Cuoco, Luca Dal Pozzolo, Francesco De Biase, Fabrizio Fiaschini, Mimma Gallina, Giulia Innocenti Malini, Maria Luisa Mattiuzzo, Luca Mazzone, Matteo Negrin, Davide Lorenzo Palla, Elina Pellegrini, Oliviero Ponte di Pino, Alessandro Pontremoli, Alessandra Rossi Ghiglione.
L’incontro aperto sarà trasmesso in streaming sulla pagina facebook di ateatro
L’azione #oltrelacittà è curata dalla Associazione Culturale Ateatro nell’ambito del progetto Le Buone Pratiche della Ripartenza. È realizzato in collaborazione con Fondazione Piemonte dal vivo, SCT Centre – Università di Torino, Teatro Libero di Palermo, Teatro Biblioteca del Quarticciolo, con il contributo di Fondazione Cariplo e il sostegno del Ministero della Cultura e del Comune di Manciano.
La prima indagine ha portato all’appuntamento delle Buone Pratiche al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma, il 23 marzo 2021, sul tema Cultura Territori Comunità.
Nel corso della giornata, a cura di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino con il coordinamento di Stefania Minciullo, sono state presentate diverse esperienze e progetti da tutto il territorio nazionale.
Successivamente, in una intensa due giorni curata da Elina Pellegrini, il festival A Veglia a Manciano ha accolto due incontri, il primo dedicato a Comunità, sostenibilità, energie creative, il secondo a Spettacolo dal vivo e turismo – Strategie e strumenti di incontro.
Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino, associazione culturale Ateatro
