L’8 novembre scorso, presso la Lavanderia a Vapore di Collegno, una giornata dedicata alla presentazione del sistema DanzArTe, risultato di un importante progetto trans-disciplinare, che utilizza l’arte e il movimento come attività fisica ed esercizio cognitivo di memory training rivolto ad anziani a rischio fragilità per ritrovare, danzando, sé stessi. La emotional wellbeing technology di DanzArTe trasforma il “contatto fisico” con l’opera d’arte in una nuova pratica amatoriale collettiva che, esercitando in maniera emozionale movimento e memoria, crea una coinvolgente esperienza di comunità. Sono intervenute: Chiara Organtini, Carlotta Pedrazzoli, Eugenia Coscarella, Francesca Cola e Debora Giordi.
L’1 e il 2 novembre, Boris Charmatz – acclamato danzatore e coreografo francese (nonché neo-direttore del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch) – ha portato in scena a CanGo – Cantieri Goldonetta di Firenze il solo Somnole, in occasione della nuova edizione del progetto “La Democrazia del corpo” di Virgilio Sieni. Qui di seguito, la visione di Benedetta Colasanti, dottoranda in Storia dello Spettacolo e critica di danza, coinvolta a giugno scorso nel campus di How Do You Spell Dance?, progetto ideato dalla Lavanderia a Vapore di Collegno – in collaborazione con Springback Academy/Aerowaves e Scuola Holden – per sviluppare competenze nell’ambito del dance writing.
Fa ridere?
Boris Charmatz fa parte di una generazione di artisti che, con caratteristiche più o meno peculiari a seconda dei contesti geografici e nazionali, domina la scena della danza contemporanea europea perpetuando una trentina d’anni di sperimentazione, provocazione, contaminazione. Somnole è la sua nuova fatica, già presentata alla Triennale di Milano e recentemente andata in scena a Firenze, a Cango, nell’ambito del cartellone autunnale del festival La democrazia del corpo (ottobre-dicembre 2022).
ph. Marc Domage
Quello del Cango è un pubblico avvezzo a sperimentalismi ed eccentricità: divertito dalle prodezze del danzatore, ride e applaude entusiasta. Da che cosa scaturisce la risata? Dal fischiettio emesso dal performer? Dalle posture scomposte? Dalla frenesia o dall’eccessiva lentezza del movimento? Il comico è in realtà tragicomico, per non dire tragico. Se non piace, emoziona: disgusto, tristezza (o gioia), paura (o ancora gioia) di essere coinvolti nella messinscena; anche se il pubblico della danza contemporanea non dovrebbe mai aspettarsi di rimanere intoccabile e protetto dalla penombra e dal tepore dalle poltrone rosse. In Somnole gli spettatori sono – come spesso accade nello spettacolo della contemporaneità – presenti, visibili, partecipi, corpo vivo della rappresentazione.
La caratteristica principale è forse quella di sconfinare: dai confini disciplinari, da quelli della scena, addirittura da quelli di certe tacite norme sociali. Niente di nuovo: lo hanno già fatto i suoi predecessori, prima fra tutti Pina Bausch, del cui Tanztheater Wuppertal Charmatz è attualmente neodirettore. Ma tutto questo già visto è ancora in larga parte da concepire, da accettare e da normalizzare. Somnole trae ispirazione dallo status di dormiveglia e dal sonno. L’esito comico dello spettacolo è in realtà frutto del disagio e dell’inadeguatezza, originati della solitudine, dal silenzio, dall’assenza di persone e di azioni, e concretizzati nel risveglio, nel ritorno dei rumori, in nuove occasioni di socialità. Somnole nasce anche dall’irrazionalità e da un’apparente non progettualità che può contare su un training mentale e fisico continuo e a tutto tondo. La padronanza di Charmatz di ogni singolo muscolo del suo corpo e la consapevolezza delle proprie potenzialità sono evidenti. Disparate anche le conoscenze: della danza, dello yoga, del respiro, dell’antropologia…
ph. Marc Domage
Qual è la drammaturgia di Somnole? Un uomo prende possesso di luogo vuoto; indossa un gonnellino con motivi riconducibili allo Stato francese e prende confidenza prima col proprio corpo, poi con lo spazio circostante, col rumore, infine col pubblico. Un suono inizialmente quasi impercettibile si rivela per essere un fischiettio, ora naturale, rimandando al cinguettio degli uccelli nelle mattine di primavera, ora sempre più antropomorfo, fino a farsi vero e proprio concerto sinfonico di motivetti ben noti. Tra stasi e concitazione, il danzatore sfiora la devastazione fisica, in modo diverso, ma con un risultato simile a Folk-s di Alessandro Sciarroni o Esercizi per un manifesto poetico del Collettivo MINE. Ma il culmine emotivo dello spettacolo è forse quello in cui la luce illumina la cavea e Charmatz porge la mano al pubblico intimidito e balla un lento con uno degli spettatori.
Il neodirettore del Tanztheater è facilmente collocabile nel contesto di una generazione francese ed Europea che abbraccia artisti del calibro di Jérôme Bel, Anne Teresa De Keersmaeker, Virgilio Sieni, Enzo Cosimi e molti altri che hanno scritto la nuova storia della danza e che continuano a scriverla. Una storia ricca di sfaccettature e particolarismi, delle cui citazioni continue si nutre una vasta schiera di artisti-danzatori emergenti. La danza contemporanea e, in questo caso, la danza di Boris Charmatz, se non può prescindere né da una formazione rigorosa né da esperienze eclettiche nell’ambito di varie declinazioni artistiche, esce decisamente da certi ranghi accademici per riversarsi nella riscoperta dell’ovvio (ma che ovvio più non è) e del quasi dimenticato essenziale.
Se queste ombre vi hanno offeso, pensate (e cada ogni malinteso), Di aver soltanto sonnecchiato, Mentre queste visioni vi hanno allietato. E questo tema ozioso e futile Non più di un sogno vi sarà utile. Gentili amici, non rimproverate; Miglioreremo se perdonate…
(William Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate)
Benedetta Colasanti
SOMNOLE coreografia e interpretazione Boris Charmatz assistente coreografa Magali Caillet Gajan luci Yves Godin collaboratrice ai costumi Marion Regnier preparazione voce Dalila Khatir con l’aiuto di Bertrand Causse e Médéric Collignon materiali sonori ispirati tra gli altri aJ.S. Bach, A. Vivaldi, B. Eilish, J. Kosma, E. Morricone, G.F. Haendel direttore di scena Fabrice Le Fur tecnico luci Germain Fourvel vicedirettore Hélène Joly direzione di produzione Lucas Chardon, Martina Hochmuth responsabile di produzione Jessica Crasnier, Briac Geffrault
Può la scrittura configurarsi come uno strumento di accompagnamento e lettura dell’atto coreografico (o performativo in genere)? Attraverso parole, immagini e suoni, Eugenia Coscarella e Arianna Perrone esplorano tale territorio e i suoi interstizi, servendosi – tra le altre – di modalità creative già avvicinate nel corso del campus pilota di dance writing ideato a giugno scorso dalla Lavanderia a Vapore, insieme a Scuola Holden e Springback Academy. La prima – attingendo alla propria ricerca sul dialogo tra danza e poesia e sui modi per lasciar emergere la parola dal corpo – attraversa lo sharing di Tabula Rasa di Doriana Crema con tutti i suoi interrogativi, facendone affiorare l’eco in sé depositata. La seconda – inviata di Lavanderia a Vapore al Dublin Fringe Festival per la mobilità prevista dal progetto How do you spell dance? (grazie alla collaborazione di Boarding Pass Plus Dance) – si lascia ispirare da alcune date della rassegna per dar vita a personali componimenti in verso libero. A offrire una sintesi tra queste due polarità è Asia Passerella, con la sua mappa di visualizzazione immediata.
Podcast: parole e voce di Elena Pugliese, artista del TRA, tratto da Il viaggio del testimone, restituzione degli sharing di Tabula Rasa.
* la modalità di lavoro messa in gioco attinge a una ricerca avviata nel 2019, insieme al poeta Massimiliano Bardotti, relativa al dialogo tra danza e poesia e alle modalità di emersione della parola dal corpo, a partire da un macro-tema di ispirazione.
DUBLIN FRINGE FESTIVAL
un reportage in prosa e in versi di Arianna Perrone 10- 25 settembre 2022
Dublino a suon di Fringe è ritmo dappertutto. Son gambe ed occhi vispi, pura arte mescolata. Per le strade, nelle sale, anche dentro la cornetta, riverbera la gentilezza. L’esperienza si è rivelata una nube di giorni elettrica, carica di cura entusiasta e inventiva organizzata.
Come lo spazio a partire dalla performance ANATOMY OF A NIGHT
Come lo spazio di un Rettangolo – largo quanto un tappetino per la doccia -, può espandersi a poco a poco? Troviamo una risposta nei gesti di Nick Nikolaou, che con la sua presenza oscilla nel movimento conquistando centimetri di spazio come centimetri di sé.
Stiamo parlando di Anatomy of a night, lavoro presentato all’edizione 2022 del Dublin Fringe Festival. Un corpo solo, in mutande, si muove nel buio. Il gesto non è sicuro né preciso, è piuttosto morbido, di una sensualità che fluisce goffa, depositandosi negli angoli del corpo per trasformarli in curve ampie di movimento. Nikolaou abbraccia il desiderio di espressione scivolando lento dentro una sottoveste di paiette.
Gli abiti sono prolunghe, lenti colorate attraverso il quale lo guardiamo espandersi. Gioca coi suoi connotati anatomici adornandoli: stoffe, colori, luci e musica sono alleate, di una scorribanda notturna; una one shot dance for a night.
Il rettangolo dell’inizio si trasforma: il performer indossa un completo maschile e gioca alla virilità ora, quella del fumo, delle prestazioni di forza fisica, della seduzione di chi caccia. Un istante dopo è una soubrette scintillante, canta padroneggiando lo spazio, legittimandoselo come una diva: il rettangolo diventa un Palco. Il ritmo elettronico dei bassi scandisce la presenza camaleontica che sboccia in una sfilata di moda.
Il rettangolo diventato palco si fa ora: Club. Tutto luci e tacchi, cosce e bailar. La più queer delle queen giunge all’ultima esibizione. Il tempo giusto per far librare l’energia di tutti e tutte le performer che è stato e dei corpi che con tanto d’occhi, lo hanno contemplato fino a desiderare il suo posto.
E a cui ora, lascia libera la Piazza.
Monologo immaginato a partire dalla performance ÒWE
Vi racconto cosa è stato. Sono vivo e premo play! Ho il feticcio scintillante in un angolo, è invadente
Seguitemi nei sussurri Perdetevi nei suoni Non abbiate paura di immergervi dentro ai richiami
Gli animali saranno presenti in sala Ecco il registratore schiaccio i tasti si compone il movimento ricompone le memorie
echi sordi di antenati
ho in testa una voce di bambino dentro un telo a tinte vive
un uccello con le mani sbatte le ali nello spazio
La Nigeria è un arazzo di radici dentro al cuore
percussioni sono il battito sulla pelle, le sentite?
Pulsa una fede che non conosco mi vive attraverso le stringo la mano
La incontro dovunque nel caos del mercato le grida sguaiate mia mamma, la spesa
poi inizia l’Irlanda
la danza, l’attesa.
Cecco ‘22 a partire dalla performance DANCE DOUBLE BILL – TEST 1
ph. Simon Lazewski
S’io fossi schermo mi sentirei stanco la pellicola protettiva mi scollerei
Getterei le notifiche nel cesso e di notte lo ammetto, io sognerei
Microfono e fotocamera invertirei per ascoltare l’eco di me stesso
Agli altri l’accesso io negherei di silenzio forte mi intontirei nella giornata internazionale del vetro spento
in vasca idromassaggio mi immergerei per farmi seguire dal tepore
rammentare al mondo che anch’io mi assento
tra la fine e l’inizio del sentire
S’io fossi luce bianca, mi scalderei e ogni tanto da candela accesa sarei travestito
S’io fossi social sarei senza gusto e tutti i pollici io taglierei
ogni tanto romperei il flusso
della navigazione la bussola stravolgerei
S’io fossi Vita me la ballerei e attraverserei lo schermo solo a ritmo
Tra questo e pausa me la giocherei divertendomi in un tempo non ristretto
S’io fossi cavo come sono e fui insegnerei agli adulti che scaricarsi è ok
Ai bambini a usarmi come corda per saltare suggerirei.
Grido discreto a partire dalla performance DANCE DOUBLE BILL – SAOIRSE NA MBAN (There is no freedom until the freedom of women)
Raduno le mie cose
Inerme in mezzo a voi
Sorelle siete? col capo reclinato
Un campo di battaglia abbiamo addosso
i piedi di cemento, armati di memoria
sono di chi faccia al vento è arrivata tempo prima
è inciampata e prima si è messa al riparo
Convinta, ingenua che noi avremo avuto da vender coraggio
Rovente
Lancio pugni al vuoto dolce pieno forte di rancore
Sono ornata di paura testa coperta in sovrimpressione
Se mi ridate una canzone di quelle allegre che mi scateno il cuore si allinea, al polso e al respiro
E magari i passi li muoviamo assieme
Il pop porta scompiglio l’unisono rompe la tela
Potenza come uno scherzo verremo prese sul serio?
Scateniamoci ve ne prego anche se ci fa paura
Tumuliamo la vergogna sotto veli da ballerina
Siamo oltre che ben educate siamo la miccia di una bomba che scoppia
Polvere da sparo lo scrocchio di un vulcano siamo tela in bianco grezza
Scrivici sopra ch’io grido discreta la mia tenerezza.
PAROLE NELLO SPAZIO. Punti di sutura e visualizzazioni immediate
Tentativi di “collegare” l’asse Dublino-Collegno di Asia Passerella
L’alleanza con gli artisti e l’accompagnamento dei rispettivi processi creativi è un asse fondante della Lavanderia a Vapore, inscritto in quella nozione di cura divenuta parola-guida delle attività del Centro di Residenza di Collegno per la stagione in corso ed espressa, tra le altre, attraverso processi come il bando AiR_Artistə in Residenza o τέχνη – téchne (attivi fino al 20 e al 21 novembre 2022).
cura s. f. [lat. cūra]. – «Interessamento solerte e premuroso per un soggetto o un oggetto che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività». La cura è azione trasformativa che ci permette di creare spazi terzi, interstiziali in cui ripensare le asimmetrie e le logiche di sfruttamento: così facendo ri-media le forme del vivere, immaginando possibili altrimenti e altrove. La cura è una dedizione al possibile. In questo atto di immaginazione, le pratiche artistiche hanno un ruolo fondativo: la cura si riflette nell’ecosistema artistico che vogliamo creare e nelle estetiche che sosteniamo e che ci sostengono, nel processo di ricerca e radicamento di nuove significazioni.
Conclusi da pochi giorni gli sharing dei rispettivi percorsi di ricerca, abbiamo chiesto agli artisti associati Doriana Crema e Salvo Lombardo – che costruiscono quotidianamente con Lavanderia una specifica visione di spazio creativo e un preciso linguaggio coreografico, dando vita a orizzonti comuni di senso – la propria opinione in merito al concetto di cura e al modo in cui quest’ultima venga declinata nell’ambito della loro indagine coreografica.
Tabula Rasa mi ha aiutata a mettere a fuoco un elemento che davo per scontato: che cos’è la cura? L’ho sempre avvertita come un moto lineare, come un “andare verso qualcosa”. Oggi invece la percepisco come un moto ondivago, come un pendolo, che va e viene. Qualcosa di molto prossimo a una reciprocità. Se io ho la “presunzione” di accudire, in realtà è l’altro a restituirmi altrettanta cura. È un percorso non unidirezionale, per me, in questo preciso momento della mia ricerca. È un flusso vicendevole di andata e ritorno, dal momento che la cura ha inevitabilmente a che vedere con la relazione. Si tratta però anche di una scelta: e non è tanto il fatto che l’uomo possieda un suo libero arbitrio, ma che la cura sia in fondo anche uno stare, o meglio uno stato interiore. Aver cura di uno spazio o di una relazione non pertiene per forza l’agire ma appunto la modalità in cui si sta. E mi ricollego così a Tabula Rasa: la qualità di presenza si collega qui alla cura del modo in cui la persona è disponibile a entrare in uno spazio vuoto, dedicando tempo a tale esperienza, a tale rapporto. Ad alcuni ha restituito benessere, ad altri rilassamento, ad altri ancora ha dischiuso visioni. Le declinazioni sono dunque molteplici. Se potessimo immaginare un processo, un ordine entro cui sviluppare le varie fasi della cura credo si debba necessariamente partire dal sé, per espandersi poi – come procedendo per cerchi concentrici – allo spazio esterno e a chi lo abita. La cura insomma investe direttamente la dimensione spaziale (e temporale). Esempio rappresentativo, in tal senso, è la stessa Lavanderia a Vapore, con la sua storia e la sua missione: quel luogo ha conosciuto la sofferenza, la cura è stata – per molti aspetti – distorta. Per potersi trasformare davvero, quello spazio ha avuto bisogno di un tempo, di qualcuno che se ne prendesse cura. E tutto il lavoro di bellezza portato avanti a Collegno continua a tenere pulito quell’ambiente. Quindi, il come io mi pongo in un determinato spazio modifica, negli anni, la struttura dello spazio stesso.
Doriana Crema, danzatrice, coreografa, formatrice e counselor
ph. Andrea Macchia
Dopo la prima parte della residenza, in primavera, il progetto è tornato in Lavanderia a ottobre. A maggio avevamo provato con lo staff a inventare un dispositivo che permettesse alla residenza di aprirsi e chiudersi tutti i giorni, imitando la dinamica polmonare. L’obiettivo era allora sviluppare un’idea e renderla però da subito accessibile, attraversabile, da altri saperi. Nella settimana trascorsa recentemente a Collegno ho invece lavorato in modo diverso: sette giorni completamente solo, isolato, per condividere in maniera pubblica soltanto alla fine. La modalità di apertura è stata esemplificativa del progetto in generale, della forma che esso sta assumendo attualmente, della nozione di cura e della sua modalità di indagine. Breathing Room ha conosciuto infatti un’apertura tramite un formato preciso, a cavallo tra l’ambiente installativo, la pratica guidata, la meditazione orale e la performance. Quindi l’ingresso in questa stanza ha significato muoversi e scivolare tra differenti modalità espressive. È diventata insomma una realtà ideale, più che fisica, un ambiente di relazioni in cui il pubblico ha potuto fare una specifica esperienza legata al respiro (in taluni casi in senso letterale, attraverso pratiche corporee e indicazioni somatiche). In effetti, durante lo sharing di metà ottobre, si è trattato di dar vita a una stanza che permettesse a tutti di respirare, ciascuno secondo la propria predisposizione, di prendere parte, di trovare una posizione all’interno di quest’ambiente a partire dalle proprie necessità, dalla propria postura di quel momento. Il secondo livello di creazione e interazione ha toccato invece la nozione di cura: ho infatti invitato Cristina Kristal Rizzo ad abitare questo spazio di relazione e soprattutto a costruire una performance in tempo reale, senza alcuna prova o anteprima e soprattutto senza repliche future. Questa scelta nasceva dalla volontà da una parte di creare un doppio livello di esperienza (e quindi un’esperienza a cui tutti potessero accedere e in cui tutti potessero stare, interagendo eventualmente), dall’altro di imperniare tale esperienza sul corpo di una dance-maker informato da un preciso codice artistico. Questo processo mi ha permesso così di riflettere sulla cura. Chiedendo infatti a una collega di “prendersi carico” di un pezzo di performatività (una scelta connessa con il mio desiderio di perdere un po’ controllo, di disperderlo, rispetto all’atto di creazione), ho implicitamente voluto compromettere i principi di autorità e di potere nella creazione artistica stessa. A quel punto l’interrogativo per me è diventato: “Respirando insieme in quell’ambiente, di chi è quell’azione, chi ne detiene l’autorialità?”. Il corpo, la soggettività, si affida, attraverso una pura e nuda presenza, che a sua volta l’artista non può controllare, perché non dispone delle coordinate che la informano, se non quelle ottenute in tempo reale. Cura dunque come restituzione di un atto di fiducia e richiesta da parte dell’artista di un atto di cura, tramite l’affidarsi. Cura – ancora – nel senso di creare una condizione che protegga, che accompagni, che garantisca a quella presenza di essere nel posto giusto, di essere a fuoco in quel preciso istante.
Salvo Lombardo, performer, coreografo e regista
Qualche spunto per approfondire…
M. Fragnito e M. Tola (a cura di), Ecologie della cura. Prospettive transfemministe, Orthotes Editrice, Napoli-Salerno 2018
ideazione e regia Daniela Nicolò, Enrico Casagrande con Stefania Tansini ambienti sonori Demetrio Cecchitelli suono Enrico Casagrande luce Theo Longuemare props e sculture sceniche _vvxxii una produzione Motus con TPE – Teatro Piemonte Europa / Festival delle Colline Torinesi residenze artistiche ospitate da Lavanderia a Vapore e Centro nazionale di produzione della danza Virgilio Sieni con il supporto di MiC, Regione Emilia-Romagna
La Lavanderia a Vapore ha facilitato l’incontro tra la danzatrice Stefania Tansini e il gruppo dei MOTUS, per una residenza creativa – svoltasi a Collegno dall’11 al 17 settembre – in collaborazione con TPE e Festival delle Colline Torinesi, in preparazione del solo Of the nightingale I envy the fate, in scena alla Fondazione Merz di Torino dal 4 al 6 novembre 2022.