Se guardi muovendoti, vedi di più

Se guardi muovendoti, vedi di più

Nel progetti europei DANCE, Wholodance e attualmente nel progetto FET PROACTIVE EnTimeMent, la ricerca scientifica di Casa Paganini-InfoMus ha sviluppato modelli computazionali e tecnologie che integrano scienza del movimento, sonificazione interattiva, analisi automatica di comportamento non-verbale full-body, espressività, emozioni, segnali sociali.

Una delle direzioni della ricerca riguarda quello che abbiamo definito come paradigma della lentezza SlowMood, ispirato anche alla coreografia e alle arti interattive. 

Se guardi muovendoti vedi di più: se provi a riattivare il tuo corpo, impari a vedere. È possibile estendere questa idea di pedagogia della danza in una forma che non preveda la necessità di mediazione autoriale da parte di artisti come Virgilio Sieni? Possiamo tradurre operazioni autoriali in operazioni di automazione fruitiva? 

L’obiettivo è riattivare e riappropriarsi della capacità di percezione: riuscire a far passare l’idea di percezione dell’arte al di fuori dalle griglie della comunicazione verbale.

Molte persone non sanno più guardare un’opera d’arte: non hanno più la lentezza necessaria. Le immagini sono pervasive, grazie soprattutto alle nuove tecnologie, ma siamo in realtà ciechi alle immagini. 

Nella nostra ricerca uno degli obiettivi è trovare dei modi per ri-insegnare alle persone a vedere, attraverso forme di comunicazione non verbali (suono e gesto). Tecnologie sempre più potenti e veloci finalizzate a rallentare – e rendere così più profonda – l’esperienza dell’opera d’arte (il paradigma SlowMood).

Nella tradizione iconografia dell’occidente dal Medioevo al 600 il gesto è al cuore del significato della composizione: da questa tradizione noi potremmo provare a insegnare di nuovo a guardare.

Non siamo interessati a ricostruzioni 3D, avatar, realtà virtuale, ma piuttosto a tecnologie “invisibili” o ”trasparenti” che non richiedono attenzione sulla tecnologia, non creano barriere tra le persone e tra le persone e le opere d’arte.

Da queste premesse ha preso forma, negli ultimi due anni, il progetto DanzArTe.

Antonio Camurri

Riscoprire la libertà attraverso i corpi

Riscoprire la libertà attraverso i corpi

Conosco le ragazze e i ragazzi della quarta B liceo scientifico da molto tempo: fin dal primo anno. Avevano quattordici, quindici anni; ora sono maggiorenni, in gran parte. Le ho viste crescere, queste persone – letteralmente: ora mi superano in altezza (non che ci voglia molto). Le ho viste nei giorni grigi di settembre e ansia, di novembre e noia, di maggio e stress, di giugno e gioia. 

Le ho viste, forse meglio, proprio nella scorsa primavera, nei mesi del primo lockdown, della scuola a distanza, della sparizione dei corpi altrui. Loro si collegavano online; ma raramente accendevano la camera per mostrarsi. Come milioni di altri studenti e studentesse. Come io stesso avrei  forse fatto, se avessi potuto. Ma io le vedevo comunque, queste persone. 

Le vedevo perché avevo chiesto loro di scrivermi: di raccontarmi, settimana dopo settimana, il loro viaggio immobile nelle terre incognite della pandemia. E loro avevano accettato; parlandomi, come direbbe Dante, di cose “che ‘l tacere è bello, sì com’era ‘l parlar colà dov’era”.

In quello stesso periodo ha preso corpo il progetto i cui esiti sono appena stati sottoposti al vostro ascolto. Un lungo lavoro di preparazione, condotto, oserei dire, con ostinata fede. Tra sirene d’emergenza, quotidiani bollettini del contagio, dpcm notturni, aperitivi su Zoom e “ne usciremo migliori”.

In un mondo siffatto, parlare del ruolo delle arti; parlare di corpi, di partecipazione, di questioni di genere. Quando, si sa, sono ben altre, le priorità. Soprattutto, pro-gettare qualcosa (se stessi?)  in un futuro. 

Perché farlo? Direi anzitutto: non lo so. Ho seguito, d’istinto, credo, la silenziosa consonanza tra le scuole chiuse e i teatri vuoti.  

E poi no, forse una piccola risposta ce l’ho. È che si è parlato tanto della scuola: di quella a distanza, brutta ma inevitabile; e di quella in presenza, sì bella e perduta. Sperando di tornarvi quanto prima. Dando per scontato che fossero diverse.

E invece no: non sono così diverse. Come non c’è nessuna differenza profonda tra un libro dimenticato a casa o lasciato nella cartella, o lasciato chiuso sul banco, così non c’è poi così tanta differenza tra un corpo lontano o nella medesima stanza, se esso non viene messo al centro di una attenzione esplicita e se non viene dispiegato coscientemente nell’esperienza. 

Paradossalmente, questo anno e mezzo di scuola a distanza ci hanno consegnato, oltre a una maggior dimestichezza con i mezzi digitali (come vedete, abbiamo fatto una web-radio) un periodo di solitudine enormemente  vasto. Al punto che, possiamo dire, l’assenza si è fatta essenza: una pietra di inciampo, da cui ripartire. Non per tornare indietro, al passato; ma per muovere altrove, verso la riscoperta del suo opposto, ossia di ciò che abbiamo perduto, lungamente agognato, e mai davvero conosciuto: la presenza dei corpi. 

E se i corpi non sono meri oggetti, ma soggetti, dotati di vita, di desiderio, di spinta all’azione, la loro riscoperta è anche una riscoperta della libertà. E di libertà, qui – con il carico di rischio e responsabilità che comporta – ce n’è stata tanta. 

La libertà di farlo, questo progetto – e di ciò ringrazio Mara Loro, Doriana Crema e tutta la Lavanderia a Vapore.

La libertà, poi, di lasciarlo andare, affidandolo alle acute intelligenze di Salvo Lombardo, Viviana Gravano e Giulia Grechi: grazie anche a loro, per avermi consentito questa perdita di controllo – così difficile per un insegnante.     

Infine, la libertà che le studentesse e gli studenti hanno voluto e saputo insegnarsi nell’esplorare quest’altra terra incognita, ossia la realizzazione di questo progetto. Esso rispecchia cosa hanno voluto dire, e come hanno inteso farlo. 

Ringrazio queste persone perché in questi mesi, mentre le seguivo un po’ di nascosto, le ho viste imparare a misurarsi con l’ignoto – un apprendimento che riguarda anche me. Le ringrazio perché le ho viste crescere: non solo in altezza, ma anche, e soprattutto, in estensione. 

Prof. Alessandro Tollari

Il progetto collettivo Le Sacre du Printemps

Il progetto collettivo Le Sacre du Printemps

Le Sacre du Printemps è un progetto collettivo di rilettura dell’opera che mescola, all’interno di una griglia condivisa, diversi stili e linguaggi della danza chiamati a raccolta tramite una open call che abbiamo diffuso sul territorio torinese nell’autunno del 2019.

Un pretesto narrativo per un’azione corale, di festa, che “con il suo sostrato fondante di saperi mitici e rituali, di topoi senza tempo (e tra questi il sacrificio, la perdita, il diverso, la sopravvivenza, la ciclicità delle stagioni) continua a interrogare, attraverso nuove riproposizioni contemporanee, artisti e pubblico, a qualunque latitudine1”.

A guidare le scuole all’interno di questo processo e a supervisionare le coreografie messe a punto dagli insegnanti (Aziza, Roberta Chiocchi Roberta/Fabrizio Varriale, Anna Dogliotti, Debora Giordi, Claire Jahier, Cristian Magurano, Patrizia Matrella, Elisa Pagliana, Alessandra Pomata, Elena Rolando, Monica Secco, Rosa Trolese, Cristiana Valsesia), gli artisti Elena Rolla di EgriBiancoDanza, Viola Scaglione di Balletto Teatro di Torino e Stefano Mazzotta di Zerogrammi, che sono riusciti ad armonizzare tecniche e stili di provenienza assai eterogenei all’interno di un unico orizzonte condiviso.

Il risultato è stato un percorso in cui, per l’intera durata della partitura stravinskiana, si sono avvicendate le azioni corali degli oltre centocinquanta partecipanti, dislocate nell’ampio spazio circolare del Giardino delle Rose della Reggia di Venaria, suggestivo e unico palcoscenico en plein air capace di accogliere questa moltitudine danzante. È infatti la cornice della residenza sabauda che ha accolto il progetto, in una grande festa della danza, e che lo ha saputo accogliere anche in una fase intermedia, nell’estate sospesa del 2020. In seguito alla riapertura dei teatri e degli spazi museali dopo il primo lockdown, la Reggia di Venaria è stata infatti il luogo ideale per uno spin-off imprevisto del progetto che ha permesso la realizzazione di un’opera video, nata dagli spunti del collettivo torinese dei Ratavoloira, insieme agli sguardi complici degli artisti e alla grande disponibilità delle allieve e degli allievi delle scuole, che si sono lasciati attraversare dai tempi e dai modi insoliti del linguaggio video. La proiezione del cortometraggio è stata poi condivisa pubblicamente il 26 settembre 2020 alla Lavanderia a Vapore nell’ambito di Ridiamo fiducia ai corpi, una particolare declinazione di Open Lav, giornata dedicata alla riapertura, e riadattata a momento di riflessione a partire dai corpi, di nuovo insieme seppur distanziati, per affermare l’importanza di ritrovarsi, di ascoltarsi, di recuperare le proprie emozioni.

Le Sacre du printemps ha potuto poi abitare di nuovo la Reggia e i suoi Giardini lungo i weekend di maggio 2021 fino alla sua conclusione alla presenza emozionata di centinaia di persone che hanno partecipato, finalmente, ad un grande rito collettivo rappresentato dai centocinquanta corpi, felici di poter finalmente danzare insieme, sulle note di una partitura potente come quella di Stravinsky, di cui quest’anno, tra l’altro, ricorre il cinquantesimo anniversario della morte. Con queste immagini si chiude un percorso, tra storia e memoria della danza, che ha voluto invitare artisti e pubblico a scoprire diverse possibilità di mettersi sulle tracce di un classico, rivisitandolo. Ma questo viaggio non finisce qui: a breve, insieme a diversi partner nazionali, partirà il progetto intitolato Swans never die che invita il pubblico a pensare a La morte del cigno, un solo divenuto una pietra miliare della storia della danza del XX secolo, come un’opportunità per conoscere le molte forme della sua esistenza nel tempo da quando fu coreografato da Michel Fokine per Anna Pavlova nel 1905 e a scoprire le diverse possibilità di mettersi sulle tracce di un classico grazie alle sue riletture contemporanee. Seguendo le tappe di questo viaggio tra storia e memoria della danza lo spettatore avrà modo di scoprire in che corpi sopravvive un’opera coreografica del passato, chi ne raccoglie l’eredità e perché, che valori può trasmettere oggi e in futuro. 

Grazie al fertile dialogo con studiosi quali Susanne Franco e Alessandro Pontremoli, si inseriscono nel triennio 2018/2020 della Lavanderia a Vapore i progetti Re:Rosas!, Maratona Bausch e Le Sacre du Printemps che danno vita a Danzare la memoria, ripensare la storia, la trama e l’ordito dei discorsi con cui si ricostruisce di continuo il passato della danza per comprenderne il presente e immaginarne il futuro. Un filone per dare voce e corpo alla memoria, in un momento storico in cui non è più soltanto lo studioso alle prese con documenti d’archivio a restituire un senso al passato: sempre più artisti, infatti, si mostrano sensibili a voler conoscere da vicino la storia della danza. All’interno di questa discorsività si colloca anche Le Sacre du Printemps, l’ultimo progetto del triennio, inaugurato nel novembre 2019, che si è concluso lo scorso 2 giugno dopo l’interruzione nel 2020 a causa della pandemia. Lungo questo periodo il progetto si è intrecciato anche con le “Residenza trampolino”, azioni di scouting per sostenere il potenziale creativo dei contesti di riferimento delle residenze artistiche. In questo alveo si colloca il fertile dialogo che, da qualche anno, portiamo avanti con alcune scuole di danza del territorio, in particolare Arte in Movimento a.s.d., Artédanza a.s.d., APID, Artemovimento Centro di Ricerca Coreografica, Asd + Sport 8, Centro Ricerca Danza a.s.d., Centro Aziza a.s.d., Danzarea, Emozione Danza, Fondazione Egri per la Danza, Ginger Company a.s.d., Nuovo steps a.s.d., Scuola del Balletto Teatro di Torino e il gruppo Dance Well-Movement Research for Parkinson di Torino. 

1 Lorenzo Conti, Le Sacre du Printemps, l’eterno ritorno nell’anno che verrà, Hystrio n. 3, 2021, pag. 14

Carlotta Pedrazzoli, Lavanderia a Vapore