Il progetto DanzArTe mira a riscoprire la fluidità del movimento. Per facilitare questa avventura corporea, i movimenti dei partecipanti generano una sonificazione che ne esalta e aumenta la fluidità, quando presente.
La sonificazione è una tecnica che consiste nell’utilizzare il suono per comunicare informazioni. Il software di Casa Paganini – Infomus analizza la fluidità del movimento di una persona, osservando il modo in cui l’energia di un gesto si sviluppa nel tempo, o il modo in cui un’azione si propaga da un arto al resto del corpo.
In tempo reale, il software fa un tracking di questo parametro e lo esporta verso il software di sonificazione. Il software di sonificazione usa questo tracking per facilitare la percezione dei movimenti fluidi, e per incoraggiarne una qualità di esecuzione sempre più fluida.
Ci sono tre sfide che il software di sonificazione deve affrontare.
1) le sonificazioni non devono distrarre, né devono indurre stress
Per questo scopo utilizziamo un paradigma di sound design a bassa intrusività. Il nostro collaboratore Andrea Cera ha sviluppato questa idea durante la sua collaborazione come sound designer per l’industria automobilistica, dove l’intrusività sonora è una tematica sentita.
Il sound design a bassa intrusività mira a utilizzare il suono per comunicare la quantità di informazioni strettamente necessarie, senza aggiungere niente di superfluo, come invece accade in una grande maggioranza di casi.
Questo si traduce in una serie di linee guida che sarebbe troppo lungo descrivere in questa sede. Qui sotto, un esempio tratto da un articolo a questo soggetto:
Per il progetto DanzArTe, le due linee guida più importanti sono :
– il controllo del modo in cui le sonificazioni emergono dallo sfondo sonoro e vi rientrano. Un suono intrusivo si stacca dal proprio sfondo in modo improvviso (sia a causa del proprio timbro, sia a causa della propria dinamica). Nel nostro caso, invece, le sonificazioni si stagliano su uno sfondo sonoro controllato (suoni di natura resi leggermente astratti, come se sentiti da dietro una finestra socchiusa) e ne emergono in modo graduale, senza creare soprassalti (nel gergo della disciplina, senza “startle effect”).
– il controllo degli elementi melodici e armonici. Melodie, armonie e pattern ritmici dovrebbero essere usati con estrema parsimonia in un paradigma di sound design a bassa intrusività. Il motivo è la facilità con cui mandiamo a memoria questi elementi e il lavoro cognitivo che segue all’ascolto di un materiale musicale pre-memorizzato (riconoscimento, categorizzazione, etc.), che quasi sempre non ha nulla a che fare con la funzione da espletare. Per esempio, il fatto di usare una canzone come suoneria di telefono ha per conseguenza che ogni volta che arriva una chiamata, il sistema cognitivo deve compiere un lavoro inutile (riconoscere la musica, richiamarla all’attenzione, categorizzarla, rieseguirla internamente, etc.). A lungo termine, una strategia di sound design basata sull’uso incontrollato di strutture musicali porta all’effetto di “annoyance”, che si potrebbe tradurre in “irritazione”. I rari elementi musicali nel progetto DanzArTe sono dispiegati in modo da essere di difficile memorizzazione, grazie a strutture che si sviluppano in un arco temporale troppo lungo per essere mantenuto nella memoria di lavoro. Questo richiede un utilizzo di risorse informatiche per archiviare le lunghe sequenze sonore che costituiscono i materiali di base delle sonificazioni. Nel mondo automobilistico o della telefonia questa utilizzazione di memoria sarebbe ancora problematica (per i limiti di hardware che caratterizzano questi ambiti) ma, nel quadro del progetto DanzArTe basato su computer più performanti, non ci sono problemi di utilizzo di memoria e questo rende il progetto particolarmente interessante per esplorare questa tematica.
2) le sonificaizoni devono creare un ingaggio positivo e rassicurare i partecipanti
Ormai da vent’anni esiste un indirizzo di ricerca sulle relazioni tra stati emozionali ed elementi sonori, in particolare legati a linguaggi musicali. I risultati di queste ricerche ci convincono a far uso di un minimo di strutture armoniche (accordi) nonostante le considerazioni sulla bassa intrusività. Un corpus di studi ormai consistente ha confermato che la consonanza è un elemento fondamentale per comunicare uno stato emotiva a valenza positiva. La valenza di uno stato emotivo è una dimensione primitiva che ne indica la positività o la negatività di fondo. L’altro asse primitivo degli stati emozionali viene detto “arousal” e si può tradurre con “eccitazione”. Nel nostro caso gli elementi dinamici e timbrici delle sonificazioni puntano ad esprimere uno stato di basso arousal:
Valenza positiva e basso arousal esprimono uno stato di calma e relax.
Per evitare gli effetti di annoyance, lo sviluppo armonico segue una lenta deriva dei centri modali su cui i vari accordi sono appoggiati, in maniera da offrire una lenta e continua modulazione che impedisce di focalizzare un’area armonica precisa.
3) le sonificazioni devono effettivamente comunicare una sensazione di fluidità
Questo campo è la specialità di Casa Paganini – Infomus. Attraverso una serie di ricerche condotte durante l’ultimo decennio, abbiamo contribuito alla ricerca sulle corrispondenze cross-modali con uno studio dell’espressione sonora della fluidità. Gli studi di cross-modalità indagano i punti in comune tra stimoli visivi, propriocettivi, uditivi, tattili e persino gustativi: studiano i fenomeni che rendono coerenti un suono che glissa da una nota acuta ad una nota grave (stimolo sonoro) e un punto che si sposta dall’alto verso il basso (stimolo visivo).
La fluidità si può esprimere a livello sonoro attraverso il controllo della dinamica e della superficie timbrica (spectral smoothness). Ambedue queste dimensioni devono evolvere con continuità, senza interruzioni o cambiamenti immediatamente percepibili. Il “centro di gravità” frequenziale di questi suoni deve corrispondere all’energia messa in atto nel movimento (che nei movimenti fluidi non è mai elevata) e quindi è relativamente basso:
In questa figura, tratta da uno degli articoli di CasaPaganini dedicati a questa tematica, le colonne 2 e 4 rappresentano la fluidità di movimento di persone che stavano ascoltando suoni realizzati in accordo con queste linee guida. Le altre colonne indicano invece i risultati realizzati con altri suoni di controllo, alcuni parzialmente in accordo fluidi, altri completamente in disaccordo.
Nel video si può ascoltare un esempio di un prototipo di questo tipo di sonificazioni, basato su una sequenza di movimento proposta da Francesca Cola, che con Debora Giordi rappresenta il polo coreografico del progetto DanzArTe.
Approfondimenti :
INTERACTIVE SONIFICATION OF MOVEMENT QUALITIES – A CASE STUDY ON FLUIDITY P.Alborno, A.Cera, S.Piana, M.Mancini, R.Niewiadomski, C.Canepa, G.Volpe, A.Camurri Proceedings of ISon 2016, 5th Interactive Sonification Workshop, CITEC, Bielefeld University, Germany, December 16, 2016
INTRUSIVENESS, ANNOYANCE AND SOUND DESIGN A. Cera, N. Misdariis LINKs – series 5-6 – 2021 – pag 186-191
L’edizione 2020 del festival Interplay LINK di Torino si è necessariamente dovuta svolgere in gran parte a distanza, in modalità streaming: a novembre ho condotto con Sara Sguotti e Teodora Castellucci le due serate, totalmente ripensate per la fruizione online. Questo format, composto dalla visione di uno o più video brevi (nel caso di Sara Sguotti anche di un work in progress) unito a un Q&A con gli spettatori, ci è parsa un’opzione gradita al pubblico affezionato da troppo tempo lontano dai teatri (ma che continua ad aver fame di spettacoli e di ricerca) e al tempo stesso può intercettare un nuovo pubblico che non può frequentare fisicamente i festival, in primis per motivi di distanza ma anche per la poca tenitura degli spettacoli.
Forte di questa esperienza, all’inizio dell’anno, la direttrice artistica Natalia Casorati ha lanciato la prima edizione del bando Interplay Stilldigital che propone un sostegno produttivo a progetti che uniscono la danza contemporanea con le piattaforme digitali. Nel bando veniva espressamente richiesta la collaborazione con un videomaker per la realizzazione di un video di 30 minuti da presentare in modalità streaming durante l’edizione 2021 del festival.
Ho avuto la fortuna di far parte della giuria – insieme a Antonio Pizzo, Laura Gemini, Natalia Casorati, Francesca Pedroni, Carlotta Pedrazzoli e Valentina Tibaldi – e la possibilità di vedere tutti i video dei progetti (circa 60, compresi 8 nella categoria “giovani”) che si sono contesi il premio del pubblico, basato sui Like ricevuti sul sito di Interplay.
Rispetto a questa selezione, il primo dato da sottolineare è la presenza tra i candidati di nomi importanti del panorama nazionale della danza contemporanea: dai maestri alla nuova generazione di “danzautori” fino ai giovanissimi venuti fuori dalle ultime vetrine e residenze. Questi curricula variegati hanno permesso diversi approcci alle nuove piattaforme digitali.
C’è chi ha optato per la forma documentaristica, andando a raccontare il making of dei propri spettacoli ma anche il rapporto della danza con le città e i paesaggi naturali. C’è chi si è ispirato all’esperienza della videodanza attualizzandola con le possibilità dei nuovi mezzi digitali, che permettono riprese più dettagliate e movimenti di macchina più ricercati. Alcune proposte si sono concentrate sulle possibilità “danzanti” della videocamera, per un nuovo rapporto fra corpi e mezzo digitale.
Reputo che gli esperimenti più interessanti siano stati quelli che si sono posti la questione della piattaforma da utilizzare attualizzando la propria ricerca coreografica e soprattutto cercando di mettere “in crisi” l’occhio dello spettatore, sicuramente meno libero nella fruizione video ma anche più disposto a mettersi in gioco grazie alle possibilità del digitale.
Dopo un lungo e stimolante confronto tra tutti i giurati, Giselda Ranieri e il Collettivo Diane si sono aggiudicati il premio di 4000 euro di sostegno alla produzione con il progetto RE_PLAY WIRELESS CONNECTION “per la capacità di mettere in relazione spazio scenico e spazio mediale tra sperimentazione coreografica e riflessione sul formato digitale”. Il premio “Off”, rivolto a giovani coreografi di area piemontese (1000 euro) è andato a Giulia Cervelli e Tommaso Cavalcanti con AFTER, “per l’utilizzo dello spazio urbano e del video sul tema della solitudine in periodo pandemico”. I due spettacoli digitali verranno trasmessi in streaming il 24 maggio alle ore 21 durante una serata del festival Interplay 2021.
Menzione speciale a Claudia Caldarano e Giulia Lenzi con il progetto RIFLESSIONI “per l’originalità della ricerca giocata sulla deformazione dell’immagine e su una qualità danzante del montaggio”. Il video verrà trasmesso nella serata di Interplay 2021 dedicata alla premiazione.
Infine, ci è sembrato giusto segnalare Marco Augusto Chenevier / Association Compagnie Les 3 Plumes e Andrea Carlotto con SYNERGEYA AUGMENTED PROJECT “per la consapevolezza della dimensione performativa del digitale, che può trasformarsi in “rito contemporaneo” potenziando l’interazione con lo spettatore e il coinvolgimento del pubblico online” e Opera Bianco e Fabio Tomassini con PHANTASMATA “per la limpidezza compositiva che distilla elementi archetipici dell’espressione coreografica e per il linguaggio video che richiama le origini dell’immaginario cinematografico”.
Come dimostrano anche altre iniziative realizzate negli ultimi tempi, quali i bandi “Residenze digitali” promosso dal Centro di residenza della Toscana e “BUGS” promosso da alcune residenze artistiche sempre toscane, credo che ormai la strada sia segnata e queste nuove esperienze accompagneranno la visione teatrale tradizionale stimolando la ricerca e la creatività e soprattutto intercettando nuovi spettatori.
Alcune settimane fa, nel mese di marzo 2021, due giovani danzatori, Filippo Porro e Simone Zambelli, si misero in contatto con noi per parlarci del loro progetto Ombelichi tenui. Ballata per due corpi nell’aldilà e per invitarci a collaborare con loro in qualità di “Tutor di processo”. Il progetto, ci spiegarono, era risultato vincitore del Bando AiR – Artisti in Residenza 2021 della Lavanderia a Vapore, una realtà straordinaria che abbiamo scoperto grazie agli artisti e a Valentina Tibaldi, curatrice dei progetti di residenza.
A partire da un’esplorazione del tema dell’accompagnamento, i due artisti si sono interrogati sui corpi che si allontanano e si avvicinano, si sostengono e si lasciano andare, si riuniscono e si separano fino alla fine. La morte, che non era all’inizio del percorso il focus del progetto, è arrivata come componente inevitabile, come dato di realtà che in qualche modo condiziona ogni riflessione sui corpi che si accompagnano durante e oltre la vita.
La loro proposta ci ha affascinate e incuriosite, ma ci ha anche generato dei dubbi rispetto a quale avrebbe potuto essere il nostro contributo: nessuna delle due, infatti, aveva avuto contatti precedentemente con il mondo della danza, e non avevamo mai sentito parlare dei tutor di processo. Filippo e Simone ci hanno spiegato che i tutor di processo sono figure con profili professionali eterogenei, talvolta danzatori, talvolta, come nel nostro caso, esperti in ambiti coerenti con il tema della ricerca creativa, ma esterni al mondo della danza.
Il nostro compito, dunque, sarebbe stato quello di mettere le nostre conoscenze e competenze nel campo tanatologico al servizio del percorso di esplorazione creativa dei due danzatori e dell’équipe artistica che li affiancava. Si trattava, per entrambe le autrici, di un’esperienza completamente nuova. Il nostro lavoro infatti comprende aspetti più teorici, quali la ricerca, la docenza e la scrittura, ma anche ruoli applicati, in particolare nella formazione, nelle supervisioni d’équipe e nel sostegno al lutto. Oltre ai ricercatori interessati nel campo della morte e il morire, i nostri interlocutori sono soprattutto medici, psicologi, infermieri e altri operatori in ambito socio-sanitario, così come cerimonieri, operatori e imprenditori del settore funerario e, più in generale, persone che, a vario titolo, sono chiamate a confrontarsi con il fine vita. Nonostante non avessimo mai lavorato con dei danzatori, fin dai primissimi incontri è stato per noi chiaro che l’incontro con Filippo e Simone non solo era coerente con i nostri percorsi professionali, ma aveva il sapore di un ‘viaggio’, che ci ha portato a decentrare il nostro sguardo e a incontrare prospettive nuove e diverse su temi a noi familiari.
Prospettive sulla morte e sul morire
Nei primi incontri, curati da Marina Sozzi, che si sono svolti online per via dell’emergenza sanitaria, ci si è concentrati sugli interrogativi che il tema della morte suscita, soprattutto in un contesto culturale che tende a espungere e negare il confronto esistenziale dell’uomo con la propria fine. Marina Sozzi ha in primo luogo risposto alle domande di Filippo e Simone riguardanti l’accompagnamento alla morte, il rito e il lutto nella nostra cultura. Ci si è maggiormente soffermati sull’accompagnamento. Da un lato abbiamo approfondito che cosa sono le cure palliative e come aiutano, con la loro équipe multiprofessionale (medici, infermieri, psicologi, operatori socio-sanitari, fisioterapisti, talvolta assistenti sociali) sia il malato sia la sua famiglia, con una presa in carico globale e attenta, personalizzata. Dall’altro lato abbiamo cercato di capire cosa si prova nello ‘stare’ accanto a un morente, e come è possibile stare senza ‘fare’ (senza affaccendarsi intorno al malato per tenere a bada l’angoscia). Magari solo tenere la mano, leggera, senza parlare, seguendo il proprio respiro o il respiro della persona malata.
Sul tema del rito abbiamo notato come, al tempo del Covid, il rito abbia ripreso con forza i suoi diritti, proprio perché è stato impedito nella prima ondata di pandemia. Non potendo celebrare i riti, i nostri contemporanei, che erano tendenzialmente antiritualisti, hanno riscoperto l’importanza del rito funebre, e la difficoltà estrema nel dare inizio a un periodo di lutto senza aver celebrato un rito comunitario, ed essersi sentiti sostenuti dalla propria comunità di appartenenza.
Poi ci si è scambiati le parti, e Marina Sozzi, che aveva visto il video di una prima prova di “Ombelichi tenui”, ha posto alcune domande ai danzatori: cosa volete veramente dire sulla morte? È un viaggio nell’aldilà? Perché quando i due protagonisti si riconoscono uno come la morte dell’altro diventano inafferrabili e svaniscono? Il messaggio che volete lanciare è che è impossibile cogliere la propria morte?
La funzione di questo primo approccio è stata, soprattutto, di mettere in dubbio l’elaborazione del tema fatta fino a quel momento nella danza e mediante la danza, e aprire nuovi possibili riferimenti culturali (saggi, scritti, pensieri, miti, gesti) derivanti dall’approfondimento del tema della morte per ciascuno dei due danzatori, Filippo e Simone.
Dall’osservazione alla riflessione
La seconda parte del lavoro, curata da Cristina Vargas, si è svolta in presenza, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza previste in questo periodo emergenziale. Il punto di partenza è stato l’osservazione delle improvvisazioni dei danzatori nello spazio. Nell’ambito dell’antropologia ci sono ampie riflessioni sul ruolo dell’osservatore e sullo sguardo antropologico: l’atto di osservare non è considerato un processo oggettivo e neutrale, ma un’esperienza che sollecita in profondità la soggettività attivando processi consci e inconsci. L’antropologo, dunque, dovrebbe cogliere ciò che avviene ‘fuori’, ma anche, attraverso un processo riflessivo, ciò che avviene dentro di sé grazie all’osservazione. La restituzione, dunque, riguardava sia ciò che ‘ho visto’ sia ciò che ‘ho provato nel vedere’ e, di conseguenza, ha permesso da un lato di individuare alcuni filoni tematici, dall’altro lato di attivare una riflessione su ciò che era avvenuto in scena a livello sensoriale, comunicativo e simbolico.
Un frammento scenico di due corpi smarriti che, seppur vicini, non riescono a entrare in contatto, ha offerto lo stimolo per portare al centro dell’attenzione un tema di grande rilevanza in questo momento storico segnato dal Covid19, vale a dire l’impossibilità di essere fisicamente accanto a chi si avvicina alla morte, per offrire il conforto di un tocco o di una carezza. Il contatto impossibile ci ha anche portato a riflettere sull’incomunicabilità della sofferenza e sul tabù della morte che a lungo ha condizionato la nostra società e di cui ancora oggi sentiamo il peso a molti livelli.
Le improvvisazioni sui corpi che si sorreggono a vicenda, appoggiandosi incessantemente l’uno all’altro, hanno fornito una suggestione per riflettere sul tema della corporeità nell’accompagnamento: come si ‘tocca’ il corpo di una persona morente? Come cambia quel ‘tocco’ quando la persona non è più in vita? Quali emozioni entrano in ballo in queste due esperienze del ‘toccare’? Le immagini ci hanno anche stimolato la riflessione sull’iconografia legata al dolore: il soldato che si carica sulle spalle il peso del compagno ferito; la madre che con delicatezza sostiene in grembo la testa del figlio morente; il martire che si abbandona; la mano tesa di un amico.
Anche il rito, tema centrale nell’antropologia della morte e del morire, è stato affrontato a partire da stimoli scenici: la posa della lapide ci ha dato lo spunto per riflettere sul ruolo del funerale come rito di passaggio, sulla crisi della ritualità nel contesto occidentale e sulle emozioni, complesse e talvolta contraddittorie, che accompagnano le prime fasi del lutto. Il movimento ritmico dei danzatori nella scena del corteo funebre ci ha portato a volgere lo sguardo verso il contesto africano, in cui il ballo è una componente centrale del rito funebre.
Nei vari incontri abbiamo utilizzato stimoli visivi (documentari, video, immagini) con lo scopo di offrire spunti per comprendere i molti modi in cui si esprime il rapporto con la morte e con l’aldilà nelle varie culture e nelle varie religioni per arricchire l’immaginario al quale normalmente si attinge per conferire senso al fine vita.
L’esplorazione di sé
Poiché il tema della morte tocca in profondità l’esperienza di tutti gli esseri umani e ha una risonanza forte a livello emotivo, è emersa la necessità di spostare il focus dell’attenzione su temi di carattere più soggettivo e sul rapporto dei due danzatori con la morte propria e quella altrui. Abbiamo dunque programmato un incontro, condotto da entrambe le tutor, con l’obiettivo di parlare della morte non tanto in senso filosofico, antropologico o psicologico, ma per dialogare sulla morte in senso personale: che cos’è la morte per me? Ho mai riflettuto sulla mia morte? E sulla morte degli altri? Qual è il mio rapporto con la finitezza? L’incontro, profondo e coinvolgente, è stato occasione per portare alla luce riflessioni ed emozioni profonde, che raramente vengono espresse.
Il percorso, in tutte le sue tappe, si è configurato come un’occasione di dialogo e di reciproco arricchimento. Il lavoro con Filippo e Simone, infatti, ci ha permesso di scoprire un linguaggio diverso, che riguarda il corpo e non la parola orale o scritta – i nostri mezzi espressivi per eccellenza – e di guardare con occhi nuovi il grande tema esistenziale della mortalità.
Marina Sozzi, filosofa e tanatologa esperta e coordinatrice del Centro di Promozione cure palliative della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta.
Cristina Vargas, antropologa e psicologa, attualmente Direttrice scientifica della Fondazione Fabretti ONLUS e ricercatrice del Laboratorio dei Diritti Fondamentali.