Prosegue la raccolta di testimonianze e tracce di lavoro da parte dei protagonisti di SWANS NEVER DIE, progetto condiviso che ha accompagnato le azioni della Lavanderia a Vapore nel corso della stagione 2021/’22.
Debutto di RÊVERIE AUPRÈS DES CYGNES alla Fontana dei 12 Mesi (Parco del Valentino, Torino), il 29 aprile 2022 per la Giornata Mondiale della Danza – ph. Massimo Malco
RÊVERIE AUPRÈS DES CYGNES è la coreografia di Ornella Balestra con cui è giunto a conclusione il percorso di re-enactment, “rimessa in azione”, de La morte del cigno (1905) con una comunità intergenerazionale. La co-curatela di Rita Maria Fabris e Mariachiara Raviola, nell’ambito del progetto pluriennale “La Piattaforma. La Città Nuova. Natura, paesaggio e rito nella danza contemporanea di comunità”, ha accompagnato tredici persone danzanti ad attraversare un’esperienza di trasmissione e incorporazione di una serie di “rêverie” della celebre coreografia con Anna Pavlova.
L’attenzione che Ornella Balestra nutre per la filologia del gesto e per l’affettività che esso smuove nei corpi danzanti di oggi, insieme con una scelta musicale velata di nostalgica poesia e di risonanze di acqua scrosciante, hanno costituito – in occasione del debutto presso la Fontana dei 12 Mesi del Parco del Valentino, lo scorso 29 aprile – il preludio a un’esperienza immersiva per gli spettatori, non intesi quale semplice pubblico di un evento frontale, bensì come testimoni di un rito intimo che ha disvelato, attraverso il respiro, l’eterno e naturale ciclo di abbandono e ritorno, di morte e rinascita nei corpi e nelle stagioni.
Il re-enactment con la comunità verrà riproposto domenica 22 maggio nel giardino di Cascina Grangia di Torino per gli ospiti della RAF gestita da Cooperativa Esserci e della RSA gestita da Cooperativa Moscati.
Ornella Balestra, Rita Maria Fabris, Mariachiara Raviola
ph. Paolo Sacchi
ph. Paolo Sacchi
A partire dal celebre La morte del Cigno, ho deciso di lavorare sulla creazione di un breve solo per indagare la vulnerabilità come condizione capace di suggerire molteplici possibilità di espirare un movimento sempre nuovo e necessario, e quindi riscoprire il desiderio del corpo, generare rivoluzione scardinando un meccanismo che altrimenti si ripeterebbe. Nello stesso tempo mi interessa riflettere sul privato che diventa pubblico indagando una postura che resta sempre sul confine tra questi due spazi. Nello specifico mi sono concentrato sul “corpo affaticato”, appesantito dalla gravità e dagli eventi, e su come in quella condizione estrema di arresa il corpo può scatenare un gesto di resistenza che si trasforma in una danza. Ho deciso di lavorare con una performer d’eccezione, Ornella Brero, una donna che sale per la prima volta su un palco con questo lavoro, aprendosi totalmente allo sguardo del pubblico. Il processo è stato accompagnato da Francesca Dibiase, già danzatrice della compagnia. La ricerca durante il processo ha portato alla nascita di una pratica specifica, che vede la performer intenta ad alternarsi tra fasi di totale riposo e arresa, a momenti in cui, grazie al suo profondo ascolto, si affida alla nascita di una nuova percezione sulla pelle, un invito a seguire quell’impeto e a lasciarsi condurre nel suo sviluppo senza sapere dove conduce. Tra un azione e l’altra Ornella costruisce sculture in movimento verso cui ha estrema cura, per approdare su di una nuova sponda dello spazio in cui riposare e attendere il prossimo slancio di vita. In quella condizione di ascolto e arresa Ornella si mette in ascolto di ciò che realmente la anima, si affida alla sensazione che le si attiva addosso e la realizza come se esaudisse un desiderio. In questo modo la performer è come mossa costantemente dalla corrente, ma attenta alle soluzioni che il corpo suggerisce, abitando nel suo viaggio uno spazio di libertà, uno spazio di scelta, uno spazio per il possibile.
Proviamo a spiegarlo attraverso le parole di Franco Purini, architetto e docente di fama internazionale (classe 1941) che – fra le altre – nel 1979 collaborò con l’allora assessore alla cultura del Comune di Roma, Renato Nicolini, per la realizzazione di Parco Centrale, effimero progetto di “meraviglioso urbano”, finalizzato alla teatralizzazione della Città Eterna, grazie a una serie di palcoscenici diffusi (ciascuno dei quali dedicato a una disciplina artistica: il teatro, la musica dal vivo, il ballo e la TV), disseminati al di là delle mura aureliane.
Con l’espressione spazio pubblico si intende in prima istanza quell’insieme di strade, piazze, piazzali, slarghi, parchi, giardini, parcheggi che separano edifici o gruppi di edifici nel momento stesso in cui li mettono in relazione tra di loro. Si tratta di un sistema di vuoti urbani di diverse forme e di dimensioni anch’esse variabili che rappresentano, per così dire, il negativo del costruito. Individuato per la prima volta in termini espliciti da G.B. Nolli nella sua Nuova pianta di Roma pubblicata nel 1748, questo sistema, la cui progettazione e la cui cura sono affidate di solito all’amministrazione della città, si traduce nella struttura urbana in sequenze prospettiche che conferiscono un senso preciso e conseguente alla presenza dei manufatti. […] Considerando lo s. p. da un altro punto di vista, vale a dire non analizzandone l’essenza fisica, ma i suoi usi e i suoi significati, esso si rivela come il complesso degli ambienti urbani esterni il cui accesso è non solo aperto a tutti, ma riveste un carattere particolare, riguardante la qualità del modo con il quale questa accessibilità si dà. Con l’espressione spazio pubblico si intende in questa accezione l’esito della compresenza di più categorie tese ad assicurare una specifica tonalità ideale, iconica e comportamentale alla fruizione di strade e di piazze. […] Oltre a questa appropriazione interviene poi la capacità di rappresentare, tramite adeguate sistemazioni architettoniche degli invasi urbani […], la comunità urbana nei valori che la istituiscono come tale. Tutto ciò in una condizione di lunga durata, nel senso che questo processo rappresentativo si definisce attraverso l’iterazione nel corso di decenni, e molte volte di secoli, di particolari momenti associativi che riguardano la vita religiosa, civile, politica.
Franco Purini, ad vocem“spazio pubblico” in «Enciclopedia Italiana – Treccani»
E nelle arti performative (nel teatro, nella danza…)?
Il teatro è una manifestazione potente e radicale del rapporto fra fatto creativo e società. Nell’antica Grecia, il teatro era il luogo di congiunzione tra la speculazione filosofica, praticata lungo la via del Peripatos ateniese, e la maestosità dell’Acropoli con i templi dedicati agli dei. Anche geograficamente, il teatro di Dioniso, il primo teatro della Grecia antica, è situato ai piedi del Partenone, dedicato a Giove e poi successivamente ad Atena, figlia di Giove partorita dalla testa del padre, anche conosciuta come dea della sapienza. La sapienza dunque, come vetta di un percorso che parte dal teatro, da una esperienza collettiva, passando per la catarsi, la purificazione attraverso la quale la comunità prende consapevolezza di se stessa vedendo rappresentati tutti gli aspetti più oscuri e indicibili dell’esistenza. Le diverse forme di questo passaggio sono, nella civiltà occidentale, la speculazione filosofica e il linguaggio poetico attraverso i quali prende forma l’ethos di un popolo, la sua identità. Tramite l’esperienza teatrale la moltitudine degli spettatori si fa corpo collettivo che vibra all’unisono e accorpa, appunto, la dimensione affettiva ed emotiva dei valori sociali condivisi. Nella società contemporanea interconnessa e digitale il teatro mantiene ancora la sua funzione grazie alla sua qualità di arte dinamica che riproduce questa esperienza del qui ed ora. Ancora di più, nell’era del consolidamento dell’uso del digitale nella vita quotidiana, il teatro può vivere una stagione di rinnovata vitalità ed estremo interesse in termini sociali.
Offre quello spazio di creatività che l’individuo contemporaneo non può più distribuire in molte piccole azioni del quotidiano e dell’occupazione stretta nelle rigidità del digitale; lo spettatore è sempre più compartecipe della costruzione del significato collettivo dell’evento e al tempo stesso ne viene trasformato attraverso la relazione diretta, già elemento fondamentale che contraddistingue il teatro dalle altre arti. Secondo Ferrarotti l’arte e la società si incontrano in un complesso abbraccio e a seconda della stretta, questo può diventare un abbraccio mortale o salvifico (Ferrarotti 2007). La ricaduta dell’azione teatrale in termini sociali può quindi essere declinata in vari aspetti: teatro come spazio pubblico, dunque riappropriazione politica di una presenza sociale; teatro come evento (Badiou 2015); teatro e benessere collettivo; teatro come strumento pedagogico e di socializzazione ai comportamenti pro-sociali per le nuove generazioni; luogo creativo di espressione e di sviluppo dell’immaginario; teatro poetico di recupero del simbolico; teatro come centro culturale sia per i piccoli che i grandi centri urbani, cuore pulsante di una comunità. Il teatro è tutti questi aspetti in quanto affermazione e recupero dello spazio pubblico, luogo di formazione del corpo sociale e al tempo stesso luogo di riflessione personale, sempre in relazione all’altro da sé.
Così Ilaria Riccioni – ricercatrice confermata e professoressa aggregata in Sociologia generale presso la Libera Università di Bolzano – nella call for papers del Congresso Internazionale “Teatro e spazio pubblico” (9-11 settembre 2021), i cui Atti, dal titoloTeatri e sfera pubblica nella società globalizzata e digitalizzata, hanno trovato recente pubblicazione. La riflessione convegnistica traeva spunto da una pregressa ricerca sociologica – confluita nel volume Teatro e società: il caso dello Stabile di Bolzano (Carocci 2021) – svolta dalla studiosa in seno al Teatro Stabile di Bolzano (tra il 2018 e il 2020), al fine di approfondirne la storia, il peculiare rapporto con il pubblico e – in ultima istanza – l’intenso dialogo intrattenuto con la politica locale e con le diversità culturali del territorio. All’interno della collettanea, edita per i tipi della Guerini & Associati, anche un contributo su Lavanderia a Vapore, a firma di Matteo Tamborrino (dottorando in Storia delle arti e dello spettacolo presso le Università di Pisa, Firenze e Siena e cultore della materia in Discipline dello spettacolo all’Università di Torino): nelle pagine del saggio, la Casa della Danza di Collegno – la cui storia viene ripercorsa ab origine, dalle sue radici “manicomiali” – assurge a paradigmatica esperienza di relazione fra spazio e comunità, tramite affondi su specifiche progettualità.
Ricerche in progress…
Iniziativa particolarmente virtuosa, che merita di essere segnalata in questa sede, è Arte e spazio pubblico, un’esperienza di ricerca, formazione e disseminazione nata dall’azione congiunta della Direzione generale Creatività Contemporaneadel Ministero della Cultura e della Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali. Una riflessione attorno alle dinamiche di interazione tra arte e spazio pubblico (dal secondo dopoguerra ad oggi) su scala nazionale, mossa dalla volontà di sondare le interferenze, ora armoniche ora invece conflittuali, tra elaborazioni teoriche e pratiche progettuali. Il progetto, ideato nel 2021 e attualmente in via di sviluppo (si concluderà infatti – a seguito delle giornate di studio tenutesi a febbraio scorso – con la pubblicazione degli Atti), si è articolato in momenti consecutivi e complementari di studio e ricerca. Per ulteriori info sul programma e sui suoi risultati, si rimanda alla piattaforma dedicata: fondazionescuolapatrimonio.it/en/research/arte-e-spazio-pubblico.
Nell’abbraccio riconosco l’esistenza dell’altro e ne condivido per un istante l’appartenenza a una comunità.
Marc Augé
Il 12 aprile si è concluso il percorso di VICINA DISTANZA. Giorgia Gasparetto, Priscilla Pizziol e Pablo Santo Krappmann raccontano così il loro progetto, sviluppato nell’ambito di PERMUTAZIONI, il co-working coreografico curato – tra le sale di Casa Luft e la Lavanderia a Vapore – dalla compagnia Zerogrammi, in collaborazione con Fondazione Piemonte dal Vivo.
Fulcro del progetto Swans Never Die, il concetto di re-enactment non appare tuttavia di facile accesso. Per provare a chiarirne i contorni, un collage di “definizioni” tratte da esperienze dirette di pratica coreografica e da riflessioni teoriche a firma di rinomati studiosi.
Fondamentale nei più recenti sviluppi dei PerformanceandVisualStudies, il termine re-enactment – baricentro concettuale del progetto Swans Never Die – merita un doveroso chiarimento. È per prima la coreografa Silvia Gribaudi, reduce dalla residenza Peso Piuma – Collective con il BTT, a provare a spiegare questa complessa nozione, letteralmente vissuta sul proprio corpo di artista:
Lavorare all’interno del progetto Swans Never Dieha sollecitato in me, innanzitutto, una riflessione su come tradurre in azione presente una memoria. Mi ha inoltre indotta a concentrarmi sulla relazione tra coreografa, performer e spettatore attivo, in particolare in direzione dell’incontro e di come quest’ultimo ri-generi la danza. Mi affascina la dimensione del processo creativo, tale da condurre l’opera al punto in cui non appartiene né alla coreografa né al performer, né tanto meno a chi la riceve. Al tempo stesso, però, essa appartiene a tutte e tutti. I ruoli si intrecciano, mescolando reciproche intuizioni, reciproci sguardi. Le parti si fondono, potenziandosi a vicenda. Di chi è allora l’opera? Nella Morte del cigno si trattava di un dialogo aperto tra Fokine, il coreografo, e Anna Pavlova, che aveva instillato nel solo, in quanto interprete, la sua espressione unica. Con Balletto Teatro di Torino ci siamo tuffati in questo processo, in quello spazio di relazione in cui le dinamiche non conducono a ruoli predeterminati, bensì dischiudono un reale incontro, che determina rotture e ricomposizioni di codici. Un dialogo empatico finalizzato alla costruzione di patti relazionali tra chi compie l’azione e chi la riceve, ri-trasformandola, per poi restituirla in un ciclo infinito di azioni e reazioni. Peso Piuma – Collective è stata dunque la ricerca di un’osmosi che portasse a una vibrazione vitale, che permettesse una continua trasformazione, offrendo così l’opportunità – a chiunque la praticasse – di esistere nel tempo. Inafferrabile e indefinibile, ma completamente vivo!
Nel «Dancing Museums Glossary», le studiose Susanne Franco e Gaia Clotilde Chernetich, alla vocededicata al re-enactment, annotano:
Even though reenactment defines a very distinct phenomenon that we usually refer to as re-performance, re-make or re-creation, in dance, it certainly offers a different approach to past dances in comparison to the established practice of historical reconstruction. As suggested by Mark Franko in his introduction to The Oxford Handbookof Dance and Reenactment (2018), whereas reconstruction always reveals dance as already historical, reenactment treats the past dance as something that exists in the present. Therefore, it troubles our sense of what we perceive as distant in time, forgotten or lost. In other words, reenactments shift the focus from remaining true to a past source to its appropriation in the present, and in contrast to historical reconstructions, they reject the idea of accurate renderings of a past work from an anti-positivist theoretical perspective. In Performing Remains: Art and War in Times of Theatrical Reenactment (2011), Rebecca Schneider suggests we re-think the ontological status of performance as what remains rather than what vanishes without leaving any trace. Some reenactments for contemporary audiences stage dance works that never lost their place in cultural memory, while others make available for the first time dance pieces that oblivion, marginalisation or censorship have limited in their journey through time and space. These different kinds of reenactment share the rethinking of methods for approaching the past, and the dramaturgical and conceptual framework that removes claims of authenticity. Dance reenactments also reject the linearity of the traditional narratives of dance history, its chronologies and genealogies, which have been taken for granted. For these reasons, they are precious tools for reflecting upon the structures of knowledge that emerge within old and new historical accounts, and for re-thinking how the blurring of reality and historical fiction can be productive.
Volendo azzardare, il campo semantico di pertinenza del re-enactment (all’occorrenza coniugabile nelle sue forme to re-enact e re-enacting) non risulterebbe troppo dissimile da quello descritto delle “ripresentificazioni”, su cui si è ampiamente espressa la critica woolfiana: con tale espressione si allude al processo attraverso il quale il soggetto recupera dal proprio passato, riportandole nel presente, esperienze ormai defunte e le esplora tramite l’ausilio dei sensi. Si tratta dunque di una memoria che torna nuovamente presente, non tanto in forme di ripensamento o rievocazione (à lamadelaine di Proust), quanto piuttosto nella capacità di avvertire l’istante trascorso – a livello percettivo e corporeo – ancora attuale. Una declinazione – si potrebbe asserire – di tipo sensoriale della cosiddetta “memoria involontaria” di Henri Bergson. Nel tentativo di rintracciare un adeguato traducente italiano per il sostantivo, Alessandro Pontremoli – nella nota al testo di André Lepecki, Il corpo come archivio – scriveva:
Il termine è difficilmente traducibile a motivo della sua pregnanza semantica e di esso non dà adeguatamente ragione il termine italiano rievocazione (verbo: rievocare), perché troppo compromesso con fenomeni performativi molto distanti da quello in oggetto, come ad esempio le rievocazioni storiche di molte città italiane. Si [sceglie] comunque la strada di una possibile traduzione, necessaria per una concettualizzazione, anche nella nostra lingua, di alcune fenomenologie coreiche e dei corrispondenti strumenti critici e teorici, seguendo le indicazioni etimologiche e le precisazioni antropologiche proposte da Edward C. Warburton nel saggio Of Meanings and Movements. Re-Languaging Embodiment in Dance Phenomenology and Cognition, «Dance Research Journal», 43, 2011, 2, pp. 65-83: «Enaction is a word derived from the verb to enact: “to start doing”, “to perform” or “to act”» (p. 69). L’espressione italiana che ci [sembra] tener conto del maggior numero di fattori di significato è ri-messa-in-azione (forma verbale: ri-mettere-in-azione). Anche se poco elegante dal punto di vista formale, essa presenta una certa efficacia nel rendere quanto l’autore del saggio intendeva teorizzare e descrivere.
Matteo Tamborrino
Bibliografia essenzialee parziale(in ordine cronologico)
Susanne Franco, Marina Nordera, Introduzione, e Annalisa Sacchi, Il privilegio di essere ricordata. Su alcune strategie di coreutica memoriale, entrambi in Eadd. (a cura di), Ricordanze. Memorie in movimento e coreografie della storia, UTET Università, Torino 2010;
Rebecca Schneider, Performing Remains: Art and War in Times of Theatrical Reenactment, Routledge, London-New York 2011;
Marcella Lista, Play Dead: Dance, Museums, and the “Time-Based Arts”, «Dance Research Journal», XLVI, 3 (2014), pp. 6–23;
André Lepecki, Il corpo come archivio. Volontà di ri-mettere-in-azione e vita postuma delle danze, trad. it. Alessandro Pontremoli, V, 1 (2016), pp. 30-52: <https://journals.openedition.org/mimesis/1109>;
Claire Bishop, Black Box, White Cube, Gray Zone: Dance Exhibitions and Audience Attention, «TDR: The Drama Review», LXII, 2 (2018), pp. 22–42;
Marko Franko (ed.), The Oxford Handbookof Dance and Reenactment, Oxford University Press, New York 2018;
Alessandro Pontremoli, Coreografare Bach. Le Variazioni Goldberg di Steve Paxton e Virgilio Sieni tra percezione e memoria, in Simona Brunetti, Armando Petrini, Elena Randi (a cura di), «Vi metto fra le mani il testo affinché ne possiate diventare voi gli autori». Scritti per Franco Perrelli, Edizioni di pagina, Bari 2022, pp. 354-355.
In occasione della Giornata Mondiale della Danza, una prima raccolta di testimonianze e tracce di lavoro offerte da alcuni protagonisti di SWANS NEVER DIE, progetto condiviso che ha accompagnato le azioni della Lavanderia a Vapore nel corso della stagione 2021/’22.
SWANS NEVER DIE ha rappresentato un’importante progettualità per la Lavanderia a Vapore. Ha portato a maturazione un discorso pregresso intorno a DANZARE LA MEMORIA, RIPENSARE LA STORIA e lo ha condiviso in rete, sia con i partner regionali della RTO, sia con i partner nazionali che, insieme, si sono interrogati su come si possa disseminare la storia de La morte del cigno e stimolare una riflessione pratica e teorica su quest’opera coreografica, per trasmetterne l’eredità a nuove generazioni di artisti e spettatori. In che forme e in quali corpi è sopravvissuta nel tempo? Chi ne raccoglie l’eredità e perché? Da questi interrogativi si sono avviati i primi dialoghi con gli artisti e le artiste delle quattro compagnie piemontesi scelte dalla Lavanderia a Vapore, connettendoli alle altre comunità con cui si è in dialogo su questi temi, in primis le scuole di danza, i giovani danzatori in formazione e i gruppi intergenerazionali dei progetti di danza contemporanea di comunità. Il 29 aprile, in occasione della Giornata Mondiale della Danza, si esprimeranno i primi esiti pubblici di questi percorsi incrociati, le cui re-incorporazioni ci paiono il miglior modo per festeggiarla.
Carlotta Pedrazzoli, area Programmazione artistica della Lavanderia a Vapore
Per me e per tutta la compagnia del BTT, PESO PIUMA – collective è un processo creativo, una pratica, un’esperienza, un rito che permette – ogni giorno – di riposizionare e riscoprire la postura del proprio cuore. Ho selezionato i primi versi di una poesia di Chandra L. Candiani, poetessa, traduttrice di testi buddhisti e maestra di meditazione. Parole che esprimono al meglio le sensazioni vissute nei giorni di residenza con Silvia Gribaudi. (p. s. Grazie Silvia!)
Viola Scaglione, direttrice artistica del Balletto Teatro di Torino
“La postura del cuore è: io sono qui, aperta a qualsiasi cosa sorga e mi visiti, sono radicata a terra, sento il suo sostegno, e insieme mi alzo verso il cielo, nello spazio, li cucio. Il respiro è il mio alleato, mi fa stare qui in questo momento che fugge…”
Chandra Candiani da Il silenzio è cosa viva
ph. Giulia Capra danzatori: Lisa Mariani, Luca Tomasoni, Nadja Guesewell, Flavio Ferruzzi e Viola Scaglione
Sono felice di avere avuto, insieme ai colleghi e alle colleghe della Compagnia, la possibilità di indagare – nel corso della residenza in Lavanderia per SWANS NEVER DIE – nuove interpretazioni della Morte del Cigno. È stata un’esperienza emozionante, per certi aspetti commovente. Il solo fu coreografato da Michel Fokine per Anna Pavlovaè per me simbolo di una trasformazione: qualcosa finisce, si perde irrimediabilmente; qualcosa di nuovo, però, comincia. BRIGHT FEATHERS è perciò un percorso di rinascita, compiuto da chi metabolizza il proprio disagio, la violenza subita non solo dall’esterno, ma soprattutto dall’incessante conflitto interiore, lacerante e crudo. BRIGHT FEATHERS è dunque il desiderio di essere finalmente sé stessi, armonizzando le proprie componenti. Le eponime “piume luminose” sono la terra promessa per un corpo e un’anima che vogliano risplendere, senza celarsi, abbracciando quell’identità che ci rende felici e orgogliosi di esistere.
Raphael Bianco, coreografo della compagnia EgriBiancoDanza
ph. Angelo Bellotti
Il percorso realizzato con PIUME nell’ambito del progetto SWANS NEVER DIE ha dato vita a un’esperienza di crescita collettiva costruita a piccole dosi, come un viaggio itinerante: ciascuna tappa ha favorito, a proprio modo, l’instaurarsi di una dimensione sensoriale di ricerca del senso, di contemplazione, di partecipazione energetica alle dinamiche interne. PIUME è diventato così uno spazio capace di accogliere l’eterogeneità, in cui potersi allenare a pratiche di fiducia e a uno stare comune nella reciprocità del gesto e del corpo; è stato però anche un tempo libero e ampio abbastanza per ascoltarsi in prossimità, per far emergere l’intuito, per suscitare interrogativi e potervi cercare risposte; infine, un’opportunità di scambio, ricerca e riflessione, dove potersi sentire vulnerabile in quanto corpo umano tra altri, creando connessioni e risonanze, aperture e ibridazioni.
Beatrice Gatti, danzatrice della Residenza Trampolino PIUME